Whatsapp, i messaggi possono valere come prova in tribunale, e la privacy ?

La riflessione sul nostro rapporto con la tecnologia in quanto le conversazioni che un tempo erano private e protette, ora possono essere utilizzate in giudizio, senza che l’utente possa sempre averne il controllo. La sfida sta nel trovare un equilibrio tra la libertà di comunicazione virtuale e la necessità di proteggere la nostra vita privata.
Negli ultimi vent’anni, il nostro rapporto con la tecnologia ha subito una trasformazione profonda, segnando una vera e propria evoluzione nel modo in cui interagiamo con il mondo. Dall’uso dei telefoni cellulari siamo passati agli smartphone, strumenti che ormai sono diventati una parte integrante della nostra vita quotidiana.
Questi dispositivi non sono solo strumenti di comunicazione, ma veri e propri terminali che ci collegano al nostro ambiente sociale e alle persone con cui interagiamo. In un mondo sempre più digitale, il confine tra la realtà fisica e quella virtuale si fa sempre più sfumato.
La comunicazione, che un tempo avveniva principalmente in modo verbale e faccia a faccia, è ora mediata da chat e piattaforme online, creando nuove forme di espressione personale e di connessione. Le applicazioni di messaggistica istantanea, come WhatsApp, sono diventate strumenti indispensabili attraverso i quali costruiamo e rappresentiamo la nostra identità, sia nei contesti sociali che professionali.
WhatsApp, in particolare, è diventata una delle app più diffuse e amate, modificandosi nel tempo per adattarsi alle esigenze di un pubblico sempre più connesso. Tuttavia, i recenti sviluppi legali, come la sentenza della Corte di Cassazione del gennaio 2025, pongono una riflessione sul ruolo che queste tecnologie giocano nella nostra vita, anche dal punto di vista giuridico.
Il giornalista Pier Luigi Pisa, in un articolo pubblicato su La Repubblica, spiega come le chat di WhatsApp stiano diventando prove legali nei procedimenti civili.
“Con la sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare possono essere utilizzati come prove documentali nel processo civile, salvo contestazione di autenticità. La Corte ha precisato che tali messaggi rientrano nelle riproduzioni informatiche e rappresentazioni meccaniche disciplinate dall’art. 2712 del Codice Civile, acquisibili anche tramite semplici screenshot”.
Infatti, leggiamo: “I messaggi Whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di Whatsapp mediante copia dei relativi screenshot, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi”.
Cosi come riporta Fanpage, la sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025 della Corte di Cassazione riguarda una controversia tra una società di serramenti e un cliente, il quale contestava un decreto ingiuntivo di 28.050 euro, sostenendo di aver già versato 10.000 euro. Il Tribunale di Pavia aveva accolto l’opposizione, ma la Corte di Milano ha ribaltato la decisione, accettando come prova una conversazione su WhatsApp in cui il cliente confermava l’importo dovuto.
Il cliente ha quindi ricorso in Cassazione, contestando l’ammissibilità del messaggio come prova documentale. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che i messaggi WhatsApp possono essere utilizzati come prove nei procedimenti civili se acquisiti tramite screenshot e se la loro autenticità non è messa in discussione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che i dispositivi elettronici personali e aziendali possono essere esaminati come prove. Per considerare valida una chat WhatsApp, è necessario che siano rispettati alcuni requisiti: “il dispositivo deve essere attribuito a una persona specifica, il contenuto deve rimanere integro e non alterato, e i messaggi devono essere acquisiti tramite screenshot, anche se la chat è stata eliminata”.
Questa decisione si inserisce in un trend giurisprudenziale che ha progressivamente valorizzato le prove digitali. Certamente, le perplessità sono tante come ad esempio il rischio di abusi o di errori e la violazione della privacy degli utenti.
Il panorama della comunicazione digitale è in continuo mutamento, e le ultime modifiche a WhatsApp, come la possibilità di nascondere l’ultimo accesso o di non risultare online, dimostrano quanto stiamo cercando di conciliare la nostra privacy con la necessità di restare connessi.
Ognuno di noi può creare anche una chat con sé stesso. Basta creare un gruppo con un’altra persona e poi rimuoverla, e in un attimo ti ritrovi da solo a condividere con te stesso ciò che desideri. Tutto rimane protetto e personale. Una sorta di confidente virtuale, dove puoi esprimere i tuoi pensieri più profondi o frivoli, scrivere un diario, caricare immagini più audaci o divertenti, o conservare file privati e sensibili. Ma ora, la situazione potrebbe subire un’evoluzione.
Questi cambiamenti sembrano rispondere a un bisogno crescente di controllo sulla propria presenza digitale. In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2025, che ha sancito l’ammissibilità dei messaggi di WhatsApp come prove nei procedimenti civili, purché ne sia garantita l’autenticità.
Indubbiamente, questa decisione pone un ulteriore riflesso sul nostro rapporto con la tecnologia e la privacy, in quanto le conversazioni che un tempo erano private e protette, ora possono essere utilizzate in tribunale, senza che l’utente possa sempre averne il controllo.
La sfida, dunque, sta nel trovare un equilibrio tra la libertà di comunicazione virtuale e la necessità di proteggere la nostra vita privata, in un’era in cui ogni tipo di interazione, potrebbe diventare un potenziale elemento di riscontro legale.