Un piatto ed un processo in corte d’assise
Messina ha avuto con la gastronomia un afflato socio-antropologico che già nel settecento si manifestava con l’esistenza della Confraternita dei Cuochi e Pasticceri, che aveva come riferimento liturgico, la chiesa dedicata a San Nicolo dei Galtieri, eretta nel 1484, nella sesta contrada cittadina, l’Agonia, nei pressi del Duomo, e che proprio la Compagnia ampliò, riaprendola il 29 settembre 1750, come testimoniano le pagine degli Annali del 1756, di Cajo Domenico Gallo. Uno stretto legame perpetuato nel tempo e che giunse ad avere a fine ottocento, anche una via dedicata ai Cuochi, strada oggi scomparsa, ove nei primi del novecento sorse anche Il Fanfullino, trattoria- ritrovo, molto frequentata, anche da studenti universitari della vicina Calabria che usufruivano di un abbonamento mensile a trentacinque lire e che spesso improvvisavano dei karaoke ante litteram, eseguendo brani come La pattuglia turca di Mozart, con mandolino e chitarra, o la mazurka di Kujawiak , e raccogliendo le offerte dei numerosi avventori, nei classici “piattini”. Ci fu, in tempi più recenti, un ristorante, donna Giovanna, che ispirato dalla cronaca giudiziaria, inventò il nome per un piatto di spaghetti. Ad avviare la fortunata tradizione di ristorazione di cui godette dalla fine degli anni trenta, furono i tre fratelli Miceli, con i segreti gastronomici di mamma Giovanna.
Durante la loro parentesi militare in Italia settentrionale, Lillo, Paolo e Michele conobbero le emiliane Lina Malorosi, Jolanda Parizzi e Ines Canali, che divennero le rispettive mogli e quindi trapiantandosi a Messina, coprotagoniste tra fornelli e pentole della cucina del ristorante. Fu un innesto di “sapori” emiliani, con una cucina solida e generosamente condita, che dette i suoi frutti affinando la preparazione dei piatti tradizionali messinesi e non, e che conquistò il gusto di tanti frequentatori del ristorante.
Fra i tanti quegli intellettuali che dal 1947, avevano quale punto d’incontro la libreria dell’O.s.p.e. di Antonio Saitta, e riferimento nel gruppo del Fondaco e dell’Accademia della Scocca, formato da Vann’Antò, Salvatore Pugliatti, Salvatore Quasimodo, Giorgio La Pira, Peppino Vanadia, Schmiedt, Bonfiglio, Romano, i fratelli Zona, Francato, Corsini, Bonini. Donna Giovanna, era noto per le gustose crocchette di patate, la caponatina, la parmigiana di melanzane, e il pescestocco, presentato in tutte le varianti di preparazione, in bianco con patate, a insalata, crudo con pomodoro e cipolla, con i “ventri” ripieni, arrostito con pomodori a scocca, o a tuttu d’intra chi patati; e poi gli stuppateddi e fritture di pesci proposte accanto a minestre, tortellini e bolliti d’ispirazione emiliana.
Grazie anche ai convivi che l’Accademia della Scocca, promuoveva da donna Giovanna, il valore di quella cucina si diffuse anche tra i professionisti della città. Proprio dalla frequentazione di avvocati e magistrati, nacque in quella trattoria, uno dei piatti più richiesti per il tempo: gli “spaghetti alla Corte d’Assisi”, la cui ricetta è tuttora gelosamente conservata e “preservata” dalle tante contaminazioni, da un’erede della famiglia, la signora Giovanna. Il sugo di pomodoro, sapientemente amalgamato con peperoncino, prezzemolo, basilico, aglio e…(?), deve infatti il suo nome alle vicende giudiziarie dei frati di Mazzarino, accusati di associazione per delinquere, concorso in omicidio ed estorsione continuata, per fatti risalenti al 5 novembre 1956.
Dinanzi la Corte d’ Assise di Messina, il 12 marzo 1962, comparvero i quattro frati cappuccini, Vittorio, Venanzio, Agrippino e Carmelo, e si celebrò il processo che ebbe come protagonisti, penalisti e magistrati, che finivano per incontrarsi nel locale di donna Giovanna. Oltre al decano degli avvocati italiani, il famoso Francesco Carnelutti, vi si recavano a gustare quei piatti, il cattolico Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione siciliana, con gli altri legali laici della difesa, il socialista Nino Sorgi e il liberale Girolamo Bellavista. E a volte si recava a pranzo anche il pubblico ministero, il sostituto procuratore Salvatore Di Giacomo, figlio del poeta Vann’Antò, protagonista della dura requisitoria che portò al verdetto formulato dalla Corte, di condanna dei frati.
Assolti in primo grado, per avere agito in “stato di necessità”, i frati di Mazzarino, dopo il deposito della sentenza di 193 pagine, con verdetto riformato dalla Corte d’ Assise di Messina, furono condannati a 13 anni. Due anni dopo, la sentenza venne annullata per difetto di motivazione e il nuovo processo d’ appello, celebrato a Perugia, ridusse la pena da 13 a 8 anni, riaffermando la correità dei frati. Solo Padre Venanzio e Padre Agrippino scontarono tutti e tredici gli anni cui furono condannati; Frà Carmelo morì il 12 dicembre 1964. Nel 2012 a Campofranco per la VIII edizione della Rassegna Teatrale fu messo in scena lo spettacolo “Processo ai monaci di Mazzarino” per la regia dell’avvocato Emanuele Limuti e realizzato dalla Scuola Nissena Forense G. Alessi sugli atti processuali i cui fascicoli sono conservati presso la biblioteca di San Cataldo, per ripercorre uno dei più importanti processi seguiti dal senatore Giuseppe Alessi, uno difensore dei monaci. E sempre nel 2012 fu anche realizzato il film “Pagate Fratelli” di Salvo Bonaffini che ripropose le vicende dei tre “religiosi”.