Quando la dolce vita a Messina si fermava al “Ritrovo Granatari”
Tutto avveniva, secondo un copione preciso, come se clienti e camerieri fossero attori su un palco teatrale, ma una scena che aveva l’occhio vigile e critico di un riservato regista, l’avvocato Peppino Piccione, innamorato con la moglie, di un locale che valorizzò il settore terziario per quarant’anni, ma che soprattutto accompagnò le varie stagioni di tante generazioni.
Fu un locale che nacque nel 1950 e “morì” con il suo ispiratore l’avv. Giuseppe Piccione (1994), imprenditore lungimirante nello scoprire potenzialità turistiche della zona, antesignano nell’anticipare mode e gusti del pubblico.
Credeva nell’hinterland dei laghi e dopo aver studiato al Seminario sino alla licenza liceale e poi all’Università di Messina, ove si laureò in giurisprudenza, vendette alcuni terreni di famiglie, investendone nel 1950, le risorse finanziarie nella costruzione di un bar, dando lavoro a tanti giovani del luogo, e trasformandolo, negli anni, in ritrovo di tendenza di tante generazioni di messinesi.
I tre fratelli Piccione, Giuseppe, Pietro e Matteo dopo l’avvio, con il nome di Nettuno di quell’embrione di ritrovo, promossero la costruzione di una sala matrimoni per i ricevimenti, momenti conviviali allora erano scanditi da rustici, gelateria, dolci e torta nuziale. Le eleganti sale avevano la possibilità di ospitare sino a cinquecento persone in occasione di matrimoni, comunioni, lauree, pranzi di lavoro e feste di ogni genere, mentre nelle serate il giardino garantiva sino a 700 posti
Le maestranze furono tutte del luogo avviate all’attività dopo un periodo di affiancamento con professionisti dei vari settori gastronomici. Tra i tanti nomi che fecero gavetta al ritrovo Granatari, e poi nobilitarono la tradizione gastronomica messinese Alberto Sardella e Pietro Romeo. Tra il cinquantasette e il cinquantotto, fu aggiunto il dancing – la discoteca ante litteram- che offrì importanti orchestre, rinomati cantanti e gruppi musicali che la signora Piccione e il marito, l’avvocato Giuseppe, cooptavano andando in giro per l’Italia e prendendo contatti con gli impresari di artisti di fama come Tony Raico, attori di tradizione come Tuccio Musumeci o i presentatori Mike Bongiorno e Daniele Piombi.
Negli anni a seguire l’avvocato, “inventò” il the danzante, proposto dalle diciassette alle 21, per lo più nel fine settimana, per offrire ai ragazzi di allora un luogo di ritrovo che garantisse serenità alle famiglie.
Con la pizzeria fece la sua apparizione prima Italo venuto direttamente da Napoli, come Enzo La Scala, il pizzaiolo divenuto poi titolare del Gambero Rosso. Per la costruzione dei due forni, uno sotto, in giardino e l’altro al primo piano del locale, furono contattate maestranze partenopee che curarono anche il trasporto del materiale dalla Campania.
Quello dell’originalità delle forniture del ritrovo Granatari, era una prassi dell’avvocato e dei fratelli; così fu per i tendaggi, le poltrone e tutti i lumi di ferro battuto realizzati da artigiani di Giarre; per le terrecotte, i piatti e boccali, realizzati a Venetico, o i bicchieri di vetro a Venezia, o i posaceneri del night in rame e quelli triangolari, dell’ultimo periodo del bar.
Era un locale sempre aperto ove insieme a granite di caffè con panna, con le brioche sempre calde; si chiedeva il caffè freddo, quello shakerato; i tradizionali gelati o il frappè ma si potevano anche degustare schiumoni, o innovativi coni da passeggio, o consumare il rituale dei primi aperitivi, seduti in quella “veranda“, sempre all’ombra durante il solleone, discretamente al riparo dalla strada di Granatari.
La gelateria era frutto dell’impegno di Pietro, il più portato dei fratelli, ma per tutti il diktat era di lavorare con la filosofia di soddisfare sempre il cliente di tutte le età, nel rispetto della sua individualità. Nei meno giovani il ritrovo Granatari, evoca nostalgie, nei più giovani curiosità per i racconti di chi ha vissuto un passato ricco di fermenti e operosità nella Messina post bellica. Quel “Ritrovo”, alchimia di sentimenti, cenacolo a metà tra il circolo e la bottega del caffè; luogo di ritrovo, fra gastronomia, musica e culture, era ad ogni ora, di sera e di notte, uno spazio di fuga dalla città ma anche di pausa, di relazioni, per momenti di socializzazione scanditi nel bar, nel dancing, nel giardino, nella pizzeria sempre gremita.
Tutto avveniva, secondo un copione preciso, come se clienti e camerieri fossero attori su un palco teatrale, ma una scena che aveva l’occhio vigile e critico di un riservato regista, l’avvocato Peppino Piccione, innamorato con la moglie, di un locale che valorizzò il settore terziario per quarant’anni, ma che soprattutto accompagnò le varie stagioni di tante generazioni.
Poco prima di morire, dopo una lunga malattia, decise, nel dicembre del 1993, di chiudere l’attività e raggiunse un accordo per la gestione con la famiglia Borgia che il 17 aprile 1994, riaprì il ritrovo con il proposito di proporre la buona cucina messinese, nelle quattro eleganti sale cerimonia e nel giardino del locale, al civico 58 di via Consolare Pompea. Mario Borgia sintetizzò l’organizzazione del Ritrovo Granatari, ricordando una massima del padre: in qualsiasi occasione orienta il servizio verso una “quantità di qualità”.
L’intendimento di proseguire l’attrazione del Ritrovo Granatari e ripetere il successo delle precedenti realtà di ristorazione gestite, a Messina e Ganzirri, in anni precedenti, non ebbe però, anche per le mutate esigenze del mercato, un positivo esito e nel giro di pochi anni quella parentesi si dissolse, ma senza memorie.