Pupi Avati: “La bellezza consola il mondo”
Il regista ospite dell’ateneo messinese e del presidente di Taobuk, Antonella Ferrara all’inaugurazione dell’anno accademico:
L’arte e la bellezza non riescono a salvare il mondo, ma certamente possono consolarlo da quello che è brutto. Crede nel potere della bellezza e dell’amore raro per se stessi e le cose, Giuseppe Avati, detto “Pupi”, uno tra i più grandi maestri del cinema italiano con un attivo di cinquanta film diretti, cinquantuno sceneggiature firmate e sedici libri pubblicati. All’età di ottantuno anni, celebrati il 3 novembre scorso, Avati ha voluto raccontarsi ai giovani aprendo il nuovo anno universitario messinese. Il regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e scrittore ha accettato con entusiasmo l’invito a Messina, da parte del rettore della regia università messinese, Salvatore Cuzzocrea e della presidente di Taobuk, il festival internazionale del libro ideato diretto da Antonella Ferrara. Una collaborazione iniziata quattro anni fa, nel settembre 2016, proprio al “Taormina book Festival” che ebbe la fortuna di avere tra gli ospiti anche il maestro Avati, per la presentazione del suo primo romanzo “Il Ragazzo in soffitta” scritto l’anno prima. A distanza di tempo il regista bolognese, candidato dodici volte al David di Donatello con tre statuette vinte, è tornato in Sicilia una terra che considera affascinante quanto misteriosa ma che non ha saputo sfruttare le proprie potenzialità e dove le grandi assenti sono proprio la cinematografia e la televisione .Per lui che ama definirsi un “giocatore d’azzardo di film”, il concetto del bello è associato alla complessità delle cose. “Più le cose sono belle – ha detto nella sua prolusione di apertura all’anno accademico rivolta ai giovani studiosi che lo hanno ascoltato al teatro Vittorio Emanuele di Messina – più sono difficili da conquistare. Ciascuno di noi ha un talento, se lo spreca sta perdendo solo tempo”.
La bellezza è anche questo, l’ascolto del nostro io. Alla mia età continuo ad essere l’inizio e non la fine”. La presenza a Messina del regista – che deve la sua carriera al film “Otto e mezzo” di Federico Fellini che nella sua vita rappresentò una vera e propria folgorazione instradandolo verso questo mestiere – è stata un’occasione per parlare anche dei progetti futuri. “Spero di poter realizzare il mio sogno – ha rivelato ai giornalisti – realizzare un film sulla vita di Dante Alighieri. Un progetto al quale lavoro dal 2001 ma che continua a rimanere un sogno nel cassetto, perché troppo ambizioso. Sì perché nel nostro tempo, sembra più interessante fare un film su Chiara Ferragni che non uno sulla vita di Alighieri”. Senza la scrittura non può esserci cinema per Avati, autore di sedici libri. ” Ospitiamo con onore il maestro – ha detto il magnifico rettore – tra gli ultimi registi della vecchia guardia, eccellente testimone della settima arte, i suoi film come i libri che ha scritto, il linguaggio espresso con le immagini rimangono scolpiti nella memoria della critica e nel cuore del pubblico. Per noi è stato un grande onore averlo quì a Messina, per consentire ai nostri studenti di conoscerlo più da vicino. Con tecnica e sentimento ha trattato temi ancora attuali e complessi”. Felice ed emozionata anche la presidente Ferrara di Taobuk: “L’incontro a Taormina del 2016 è stato galeotto, aprendo la strada verso una collaborazione con l’Università. Da allora con il maestro Avati, non ci siamo più persi di vista. Ritengo che la sua intensità artistica ha contribuito a rinnovare il linguaggio cinematografico contemporaneo, superando le tradizionali barriere che avevano reso elitario il cinema colto”.
Il presidente del teatro messinese, Orazio Miloro è stato lieto di porgere il saluto di benvenuto, commosso per la presenza del maestro al Vittorio Emanuele. Ai giovani ha raccontato dei suoi inizi difficili, quando negli anni ’50 brancolava nel buio alla ricerca della sua realizzazione. Una carriera costellata di successi con il debutto nel ’68, anno in cui a trent’anni presenta il lungometraggio “Balsamus, l’uomo di Satana”, seguito nel ’75 dal film “La mazurka del barone della Santa e del fico fiorone” con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio e ancora “Festa di laurea” con Carlo Della Piane, “Noi tre” premio speciale alla mostra di Venezia, “Storia di ragazzi e di ragazze” che gli valse il David di Donatello. Si ricordano anche “La Rivincita di Natale” con Diego Abatantuono, “Il papà di Giovanna” che nel 2008 lo riporta a Venezia, ” Il bambino cattivo” realizzato per Rai fiction, mentre l’anno dopo a Montreal arriva il premio come migliore sceneggiatura dell’anno per il film “Un ragazzo d’oro” con Sharon Stone e Riccardo Scamarcio. Tante le rivincite ma anche i momenti bui per uno degli ultimi grandi maestri della bottega cinematografica italiana. ” Fellini che ebbi la fortuna di avere amico negli ultimi anni della sua vita, mi ha insegnato che i finali di partita possono essere molto dolorosi per chi ha dato tanto, se inciampi non vedono l’ora di girarti le spalle”.