Non chiamateli spiedini; la storia dei “Braciuleddi” alla messinese.
Oggi al centro del dibattito anche per l’arredo urbano delle pensiline ATM le braciolette o braciole alla messinese, in dialetto braciuletti, braciuleddi o bracioli, sono spesso identificate in modo erroneo come spiedini. Solo nel rispetto del disciplinare della vera ricetta rappresentano l’autentico piatto iconico della cucina peloritana.
Un caratteristico piatto messinese – le braciole di carne– è stato scelto per avviare l’iter del marchio De.Co, la Denominazione comunale di origine, per la crescita di una eccellenza enogastronomica e rendere riconoscibile e distintivo una specificità del territorio. A formare questa rete, oltre al Comune di Messina, anche Sicindustria Messina, l’Università e la Camera di Commercio.
Oggi al centro del dibattito anche per l’arredo urbano delle pensiline ATM. le braciolette o braciole alla messinese, in dialetto braciuletti, braciuleddi o bracioli, sono spesso identificate in modo erroneo come spiedini. Solo nel rispetto del disciplinare della vera ricetta – preparazione e cottura-, rappresentano l’autentico piatto iconico della cucina peloritana a base di carne di manzo, conosciuto e esportato con varianti, esasperazioni, contaminazioni e anche mistificazioni in tutte le zone della Sicilia, dell’Italia e persino all’estero.
Già nel dizionario siciliano italiano di Antonino Traina del 1868 appare il sostantivo femminile braciola quale “fetta di carne cucinata revvolta, polpetta: braciula avvolta e bruciuletta, braciola più piccola”; e nel dizionario siciliano italiano di Vincenzo Mortillaro 1881, compaiono il vocabolo braciula , con il rimando a purpetti e braciuletta, fetta sottile di carne.
Attorno alla nascita della ricetta si ritrovano riscontri in “leggende” e storie cresciute o costruite attorno alle origini delle braciole alla messinese che per taluni sarebbero datate nel XVI secolo e attribuite agli spagnoli che adoravano cucinare questa pietanza.
Si ascriveva a tal proposito la denominazione di “braciole della Regina” perché la sovrana Giovanna di Spagna detta “la pazza”, si diceva ne fosse ghiotta al punto da assumere dieci cuochi per la preparazione del piatto. Uno di questi, divenne suo amante ma dovette fuggire dall’ira di Carlo V d’Asburgo, figlio di Giovanna e legittimo erede al trono di Spagna, sconvolto dalla notizia della relazione della madre con il cuoco che dovette riparare in Sicilia e diffondendo anche a Messina la ricetta che divenne un piatto tipico del territorio.
Racconto più popolare per l’espediente delle massaie messinesi di bruciare solo del grasso per non svelare al vicinato, l’indigenza familiare, quindi la carenza di carne; per sfamare le famiglie e mettere comunque della carne sulla brace, inventando così le “Braciole Messinesi”, ripiene di pan grattato. Era un espediente popolare che celava, con il profumo diffuso sulla brace dalla sugna e dall’aglio mescolato alla mollica della farcia, arrosti più consistenti, un artificio come lo fu la “pasta con le vongole fuiute” di Eduardo De Filippo che nel 1947 creò un piatto in cui il profumo di mare è soltanto un’illusione generata dall’uso abnorme di prezzemolo, o della “pasta con le sarde a mare” dei palermitani, preparato in tempi di “magra”, utilizzando il finocchietto, surrogando l’aspetto della “pasta con le sarde”.
La prima testimonianza documentata di “involtini” la si trova in un’opera del 1400: il “De Arte Coquinaria” del Maestro Martino da Como: Per fare polpette di carne de vitello o de altra bona carne. In prima togli de la carne magra de la cossa et tagliala in fette longhe et sottili et battile bene sopra un tagliero o tavola con la costa del coltello, et togli sale et finocchio pesto et ponilo sopra la ditta fetta di carne. Dapoi togli de petrosimolo, maiorana et de bon lardo et batti queste cose inseme con un poche de bone spetie, et distendile bene queste cose in la dicta fetta. Da poi involtela inseme et polla nel speto accocere. Ma non la lassare troppo seccar al focho.
Riconducibili alla ricetta di Mastro Martino sono quelle proposte da Giovanni de Rosselli, autore de Opera nova chiamata Epulario il quale tratta del modo di cucinare ogni carne, uccelli e pesci, pubblicato per la prima volta nel 1516 e che ebbe circa 17 riedizioni in italiano e francese, una delle quali fu stampata nel 1606 in Messina, per i torchi di Lorenzo Valla con licenza de’ Superiori.
Il filosofo e letterato italiano Vincenzo Corrado, ma anche uno dei maggiori cucinieri che si distinsero tra il ‘700 e l’800 nelle corti nobiliari di Napoli, scrisse di “cucina mediterranea”, e nel suo Il Cuoco galante, pubblicato nel 1773, si ritrovano tracce vicine alle braciole messinesi “Braciole in arrosto — Tagliate a fette sottili e larghe la carne magra della coscia di Vitello, si schiacceranno bene, e con rognonata dello stesso Vitello ben condita di sale, e pepe, ed erbe aromatiche si riempino, e s’involtano bene strette ; dopo s’inviluppino una ad una in fette di lardo , e si metteranno a cuocere allo spiedo, e quando saranno cotte, si serviranno calde ( fuor delle fette di lardo ) con crostini d’ intorno.