Noi prigionieri dei social alla ricerca continua di likes e consenso.
Iperconnessi tendiamo a sacrificare la nostra identità attuando una sorta di mimetizzazione, con la quale cerchiamo di assomigliare a questi ambienti online mentre diamo vita ad un “io performativo” con il preciso scopo di ottenere il gradimento del nostro pubblico.
La nostra vita e le nostre relazioni dall’arrivo di Facebook sono letteralmente cambiate. Harvey B. Mackay, importante uomo d’affari statunitense, ha dichiarato che: “La tecnologia dovrebbe migliorare la tua vita, non diventare la tua vita”. Le ore che trascorriamo su Facebook non si contano più e spesso, durante le nostre giornate, siamo distratti dai post, dai “like” e dai commenti che ci arrivano.
La mattina controlliamo Facebook per leggere le notizie, per spiare gli altri o sapere cosa stanno facendo i nostri amici. La sera prima di addormentarci sbirciamo la home del nostro social del cuore e guardiamo se ci sono novità importanti di nostro interesse.
I Reels, lanciati su Instagram nell’agosto del 2020 e contestati dagli utenti, sono sbarcati su Facebook. Si tratta di video brevi, nati per fronteggiare il successo di Tik Tok. Presenti già in ben 150 paesi e anche in Italia. In tanti, soprattutto i boomers, cantano, ballano, suonano, cucinano.
Meta, la società che gestisce Facebook, ha rilasciato una dichiarazione: “I video contano ormai per quasi la metà del tempo che le persone passano su Facebook e Instagram e Reels è il nostro formato di contenuti in più rapida ascesa. Vogliamo che sia per i creator la soluzione migliore per farsi conoscere, restare in contatto con il loro pubblico e guadagnare. Vogliamo inoltre che le persone possano trovare e condividere contenuti rilevanti e coinvolgenti in modo semplice e divertente”.
Meta, come se non bastasse, sta progettando: “Sistemi di controllo dell’idoneità per i brand, tra questi Liste degli editori, liste degli elementi bloccati, filtri dei contenuti e report di pubblicazione per inserzioni banner e con adesivi su Facebook Reels in tutte le regioni in cui sono disponibili” per dare agli inserzionisti “un maggiore controllo se ritengono che le loro inserzioni compaiano in luoghi che non considerano adatti al loro brand o alla campagna di un creator”.
Ormai, la nostra vita corre veloce e siamo immersi in un vortice continuo di cambiamenti. L’esistenza degli individui è sempre più regolata da Facebook, Google, Twitter, Youtube,Tik Tok sempre connessi, con un sistema di relazioni costruito attraverso i social media, guidati dalle funzionalità sviluppate all’interno di queste interfacce tecnologiche.
Sappiamo, altresì, che il processo di costruzione sociale avviene attraverso il modo in cui gli individui si relazionano, comunicano e dunque utilizzano anche gli strumenti tecnologici e i social network.
Sui social bastano pochi click per esprimere il nostro pensiero in un post, in un commento o sul nostro status personale e per farlo possiamo servirci anche delle immagini e adesso anche dei reels.
I nostri contatti, amici su Facebook o followers su Instagram, ci seguono e in base al contenuto che pubblichiamo sanno tutto di noi come in una vera e propria “piazza” virtuale.
L’unica certezza che abbiamo è che ormai senza la tecnologia sembriamo avere perso la capacità di esprimere noi stessi.
Sui social tendiamo ad assumere modelli di identità predeterminati pur ritenendo di esprimere la nostra individualità, attuando una sorta di mimetizzazione, con la quale cerchiamo di assomigliare a questi ambienti online e, così facendo, rinunciamo alla nostra vera identità.
Ecco che diamo vita ad un “io performativo” con il preciso scopo di ottenere il gradimento del nostro pubblico.
Creiamo contenuti di vario tipo e anche i video, seppur brevi, creano un obbligo di relazione tra produttore e audience. E perché questo avvenga è necessario far percepire il valore d’uso del contenuto al proprio pubblico. Sì, perché dobbiamo essere certi che possa piacere e possa essere condiviso per ottenere un alto numero di visualizzazioni.
In questo nuovo ambiente relazionale le classiche teorie basate sulle differenze di genere vengono superate dall’emergere di un iper-individualismo che ingloba anche il genere ma che viene sovrastato dall’esibizione dell’immagine di sé. Siamo di fronte a relazioni social che sono spesso caratterizzate da un’estremizzazione delle emozioni e la ricerca continua di forti emozioni, come se i contenuti digitali fossero un filtro che ammortizza le emozioni o rendesse le stesse altro da sé. Basti pensare che concetti come intimità e privacy diventano funzionali alla costruzione dell’immagine che si vuole fornire al proprio pubblico e in diversi casi perdono la loro importanza.
La definizione corretta è quella di “consumismo emozionale”, poiché siamo tutti impegnati nell’inarrestabile ricerca di quella rappresentazione che meglio si adatta alle nostre esigenze e ai nostri desideri.
Bauman sosteneva che stiamo entrando in un ambito di grande provvisorietà che si caratterizza per un uso delle relazioni piuttosto che di un processo di costruzione di relazioni.
Ciò significa di fatto consumo delle stesse che vengono scartate quando non più corrispondenti ai propri desideri, con la conseguenza del concretizzarsi di quelle “comunità guardaroba”.
Insomma, siamo di fronte ad innumerevoli cambiamenti delle piattaforme social e possiamo solo augurarci di non acquisire: “Tutta la tecnologia giusta per tutte le ragioni sbagliate”, così come sosteneva il grande R. Buckminster Fuller, perché la vera socialità si realizza solo nella vita reale e un video non può sostituire il calore di un abbraccio o l’intensità di un bacio.