Noi che al ristorante si andava alla “Macina” ai Laghi Di Ganzirri.
Il ristorante aveva i piatti tipici della cucina dei laghi di Ganzirri come spaghetti con le vongole o al nero di seppia, il risotto allo scoglio, le braciole di pesce spada, e le ricette della tradizione: pesce stocco a ghiotta e pasta ‘ncaciata; o le innovative, allora, trenette con le uova di pesce spada
“Credo che l’idea di un film debba nascere da un sogno, da un sogno vero e proprio, oppure da un sogno ad occhi aperti”, diceva il regista Wim Wenders riferendosi a “film che hanno un’anima”, quale “centro emanatore d’identità”.
Le parole di chi nel 1970 diresse, Estate in città, possono essere l’incipit per parlare di un locale che proprio dagli anni settanta, fu riferimento delle “estati”, ma anche di tante stagioni della vita, di numerose generazioni di messinesi.
Il ristorante La Macina, con il suo Giardino dei limoni, la pizzeria, la discoteca, dal 1969 al 2012, ha scandito quella vita messinese, ancora non definita movida, regalando memorie e ricordi. Quel sogno ad occhi aperti per un “ritrovo da sogno”, prese forma in Francia a Évian les Bains –nel dipartimento dell’Alta Savoia, noto centro termale sul lago Lemano, ove la famiglia Marullo, proprietaria della Macina, si recava, per il periodo estivo alloggiando in un piccolo albergo con annesso un delizioso ristorante. Il proprietario monsieur Boteau, fece nascere, con il suo entusiasmo l’idea di aprire anche a Messina, su un altro lago, quello di Ganzirri, un locale.
Carlo Marullo e la moglie Annamaria decisero così di realizzare il loro sogno per un ristorante che potesse avere un fascino similare. Sorse così La Macina, che prese il nome dalla grande macina che già si trovava nel magazzino, e inaugurata il 7 gennaio 1969, offrendo al pubblico, la sala ristorante, la sala blu per ricevimenti, la sala dedicata al whisky-à-gogò, il grill room con annessa pizzeria napoletana, la saletta spagnola riservata a piccoli gruppi, quella coloniale, e le sue modernissime cucine. Il primo anno di attività fu affidato alla cura della “brigata” del personale del ristorante Doney di Roma, la più celebre vetrina di via Veneto, punto d’incontro della mondanità, realtà nel settore della pasticceria e ristorazione, fondata a Firenze nel 1822.
Tale fase di rodaggio durò poco meno di un anno perché sin da dicembre del 1969, la gestione fu assunta da Giuseppe Aversa, conosciuto da tutti come Teo, scomparso a 75 anni nel 2013, già cameriere dello Sporting di Mortelle, al tempo della conduzione di Nunnari, e che ininterrottamente curò e rese celebre la struttura in oltre quarant’anni di attività. Dall’iniziale maestro Chef, Aurelio Buciunì, cuoco professionista nei grandi alberghi, docente all’Istituto Professionale Alberghiero “G. Falcone” di Giarre e che visse la grande stagione dell’ospitalità nel secondo dopoguerra, furono vari gli chef che si alternarono nella cucina della Macina.
Lo storico “re” della cucina della Macina rimane Domenico Allegra che nel 1978, inseritosi giovanissimo nel locale, dopo alcuni anni ne divenne chef fino al 2008. Tipiche le sue ricette: linguine a modo nostro; risotto al pepe verde; risotto tropical; pappardelle macina; fagottini di spada; involtini di calamari.
La Macina, dall’ambiente molto accogliente con la possibilità di pranzare immersi nel verde, è stato un ristorante elegante, con un arredamento ricercato e particolare, impreziosito dalle singolari collezioni di macinini del caffè e del pepe, di tazze da the, di boccali di birra, delle bilance stadera, delle armature, dei modellini di antichi velieri e dei pupi siciliani.
Poteva soddisfare le esigenze di 300 ospiti e garantiva altri 600 coperti nell’ampio giardino che, nel tempo, fu rimodulato nell’allestimento e nell’ambientazione, secondo il mutare dei gusti e delle richieste del pubblico, offrendo sempre le atmosfere adeguate a un matrimonio, alla festa dei diciotto anni, alla conviviale di un club service, a una qualsiasi festa che richiedesse qualità e professionalità. Esempi innovativi furono gli angoli gastronomici che per vari eventi potevano essere allestiti, dal carretto siciliano con ricotta e formaggi arricchiti con mostarde, miele di acacia, marmellata di fichi; al punto barbecue per braciole e salsiccia, alla friggitoria del pesce servito in cartocci; a quelli della memoria del territorio, come il venditore di fichi d’india, delle castagne, o dell’antico triciclo dei gelati, alle angurie e meloni scavati come contenitori per la cascata di frutta; l’isola marina con crudités di pesce: ostriche e fasolari o l’importazione della tradizione culinaria francese delle crêpes suzette o con gelato.
Il ristorante aveva i piatti tipici della cucina dei laghi di Ganzirri come spaghetti con le vongole o al nero di seppia; risotto allo scoglio; braciole di pesce spada; e non mancavano le ricette della tradizione: pesce stocco a ghiotta e pasta ‘ncaciata; o le innovative, allora, trenette con le uova di pesce spada. Piatti che ne fecero conoscere la cucina anche fuori dai confini provinciali furono le cornucopie ai sapori mediterranei; il risotto con rucola e scaglie di parmigiano; gli involtini di spada con salmoriglio e soprattutto le pappardelle alla Macina.
Era una cucina vicina alla tradizione e alle ricchezze del territorio, ma con lo sguardo rivolto ad un continuo mélange delle nuove tendenze.
Oggi quel sogno non c’è più, svanito per le influenze di nuove tendenze commerciali, dileguato dalle nuove strategie di mercato che hanno dato spazio ad un supermercato e un emporio.