Mense dei poveri stellate
Bene, bravi, ma soprattutto bis. L’iniziativa degli chef, più o meno stellati, che nelle festività natalizie si mettono ai fornelli per le persone disagiate – spesso abituali frequentatrici di quelle che vengono comunemente definite mense del povero – sta diventando una (apprezzabile) moda, con la collaborazione di enti e associazioni che organizzano gli appuntamenti.
I professionisti dell’alta cucina, dal canto loro, combinano spirito di solidarietà e un pizzico di sano narcisismo nel creare menù in cui creatività e sostanza devono avere un giusto bilanciamento. In termini di immagine, poi, contribuiscono, grazie alla loro visibilità mediatica, a mettere in risalto una problematica non sempre avvertita in modo adeguato dall’opinione pubblica.
Il rapporto Coldiretti 2019 “La povertà alimentare e lo spreco in Italia”, a tal proposito, mette in rilievo come in Italia siano 2,7 milioni le persone costrette a chiedere aiuto per il cibo. Nonostante ci si trovi di fronte a un bisogno primario, però, solo il 14% di loro consuma pasti presso le mense. I rimanenti 2,36 milioni, invece, ricorrono alla consegna di pacchi alimentari (nel 2018, distribuiti oltre 60 milioni di chili di alimenti). La variabile determinante rispetto a questa differenza è sicuramente legata al pudore e alla vergogna per la condizione di disagio. In cima alla lista dei prodotti maggiormente richiesti c’è la pasta (13,5 milioni di chili), seguita dal latte (11,6 milioni di chili) e dai legumi in scatola (8,7 milioni di chili).
Tra le categorie più deboli degli indigenti si contano – secondo lo studio Coldiretti – quasi 197mila anziani sopra i 65 anni, circa 103mila senza fissa dimora e 453mila bambini di età inferiore ai 15 anni. Un dato quest’ultimo che assume connotazioni ancora più allarmanti se si pensa che – stando alle stime di Save The Children – negli ultimi dieci anni, il dato dei minori a cui in Italia mancano i beni essenziali ha raggiunto i 1,2 milioni. Si tratta di un record negativo tra i Paesi europei.
I numeri restituiscono solo parzialmente il quadro di una realtà in cui drammi si intrecciano ad altri drammi. Dietro la necessità di chiedere aiuto per mangiare, infatti, ci sono storie eterogenee: dalle persone rimaste improvvisamente senza reddito per la perdita di lavoro ai migranti, dalle separazioni tra i coniugi alle difficoltà legate a vecchie e nuove dipendenze (come, ad esempio, la ludopatia). Povertà, ma anche solitudine, alienazione, vulnerabilità sociale.
Per tutto ciò non si può che plaudire di fronte a chi, come gli chef professionisti, regala a queste persone momenti ed emozioni speciali. Allo stesso tempo, però, sarebbe bello assistere a iniziative ancora più strutturate, che non si limitino al periodo delle festività. Massimo Bottura (la cui “Osteria Francescana” è stata più volte premiata come miglior ristorante al mondo), ad esempio, ha aperto – con la collaborazione della moglie – una serie di refettori in Italia e all’estero, con architetture alla moda e la possibilità di sfruttare prodotti rimasti invenduti nei supermercati. L’obiettivo non è soltanto quello di garantire un pasto, ma anche di ricreare un senso di dignità intorno alla tavola. Un esempio da seguire e diffondere.
Accanto a questo, il mondo dell’alta cucina dovrebbe quanto prima saldare un debito morale con figure come quella di Dino Impagliazzo, insignito dell’Onorificenza al Merito della Repubblica Italiana da parte del Capo dello Stato pochi giorni fa. Il signor Dino è un 90enne che prepara da mangiare e serve più di 300 pasti al giorno a senza fissa dimora di diverse zone di Roma. Pure lui e la sua mensa meritano, senza dubbio alcuno, le tre stelle Michelin!