Mary Mallon, la cuoca irlandese che diventò la donna più pericolosa d’America
Il clima di caccia all’untore, di manzoniana memoria, riporta alle cronache odierne il caso della cuoca irlandese, Mary Mallon, naturalizzata statunitense, nota anche come Typhoid Mary nata nel 1869 che trascorse in quarantena forzata venticinque dei suoi 68 anni. Fu al centro delle cronache giornalistiche e divenne celebreagli inizi del ‘900, come la cuoca portatrice sana dell’agente patogeno associato alla febbre tifoide, contagiando la famiglia dove lavorava. Nel 1907 George Sopher, un dirigente sanitario, scoprì che il contagio avveniva nella sua cucina quando preparava i pranzi e le cene per i ricchi, contaminando gli utensili da cucina con saliva o sudore. Del loro primo incontro scriverà: «afferrò un forchettone da arrosto e avanzò nella mia direzione. Io percorsi in tutta fretta il corridoio lungo e stretto, varcai l’alto cancello di ferro e il cortile, e arrivai al marciapiede. Mi sentivo assai fortunato ad esserle sfuggito. Confessai a me stesso che avevo iniziato con il piede sbagliato. A quanto pare Mary non capiva che volevo aiutarla.»
Una volta individuata come portatrice asintomatica della malattia, fu oggetto di richieste mediche per campioni di urine e feci, da lei respinte convinta di essere perseguitata dalla legge. In seguito venne arrestata e messa in quarantena forzata per tre anni e il 19 febbraio 1910 liberata, con la promessa di non lavorare in cucina. Segui inizialmente la prescrizione, poi però cambiò nome in Mary Brown e riprese l’attività di cuoca propagando il contagio tra i quali Simon Moledda, affermato ristoratore dell’epoca, che morì poco dopo l’infezione.
Nel 1915 scoppiò un’improvvisa epidemia di tifo all’ospedale Sloane di New York che colpì circa 25 persone; la descrizione della cuoca dell’ospedale corrispondeva a quella di Mary che fu arrestata e il 27 marzo di quell’anno, ricondotta in isolamento al William Parker Hospital e messa in quarantena forzata. Nel 1932 fu colpita da un ictus, e nel ’38, all’età di 69 anni, morì di polmonite.
La quarantena allora come oggi, era uno dei metodi più seguiti per combattere le malattie infettive, di cui già si trova traccia nell’Antico Testamento, molto prima che si conoscesse l’origine della patologia. La pratica di codificare l’isolamento forzato fu fatta dalla repubblica di Venezia, mentre la prima malattia contro cui si è adottata la quarantena fu la lebbra, a cui fa riferimento la Bibbia, ma anche patologie capaci di diffondersi nell’antica Grecia. Per tutto il Medio Evo si è perseguito l’affidamento alla pratica dell’isolamento, ma è con l’epidemia di peste del quattordicesimo secolo, che si attesta la forma moderna di quarantena. Il termine risale al 1403, per l’uso marittimo nel rilascio del governo veneziano della “libera pratica”, per navi e persone provenienti da zone sospette da contagio sottoposte all’isolamento per un periodo di 40 giorni (che in un primo momento erano 30) cui dovevano sottostare i bastimenti prima di entrare in porto. Prima del coronavirus, sicuramente la più imponente quarantena, la pratica è stata usata per l’influenza, laSars dal novembre 2002 al luglio 2003 e l’Ebola del 1976 e 2014.
Il nome della cuoca Mary Mallon, è diventato sinonimo di “untore”; il mondo scientifico, le ha attribuito il titolo di “paziente zero” della febbre tifoidea e sollevando anche temi giurisprudenziali sui confini tra il diritto alla libertà personale e le restrizioni imposte da motivi di salute pubblica.
L’attrice Elisabeth Singleton Moss, ha interpretato il personaggio dell’immigrata irlandese Mary Mallon, nella miniserie televisivaFever, diretta da Phil Morrison, arricchita lo scorso anno da unaseconda edizione con nuovi episodi, per la BBC America e Annapurna Television. La trama, ispirata dall’omonimo romanzodi Mary Beth Keane, nominata tra le cinque migliori scrittrici americane «under 35» dalla National Book Foundation, narra la biografia romanzata di Mary Mallon, evidenziando l’aspetto interiore di questo sfortunato personaggio che venne alla ribalta nella stampa dei primi anni del XX secolo. Nell’incipit del romanzo si legge. “I suoi sogni nella New York dei primi del ‘900, erano quelli di qualunque giovane donna, ma nessuno le chiese mai di raccontarli. La sua passione: la cucina, ma non le fu permesso di praticarla”.