La narrazione tra algoritmi e nuvole
Che dire oggi della narrazione, al tempo dei ripetuti tuffi nelle profondità digitali del codice binario. La contemporaneità vive di continue e improvvise accelerazioni, di sguardi futuristi o futuribili, di concatenazioni di stringhe alfanumeriche, di tecnologie che estendono la nostra mente, il nostro pensiero, il nostro sguardo. Così i racconti, anch’essi travolti dall’onda impetuosa del progresso informatico, abbandonano quei tratti che da sempre li hanno contraddistinti, ovvero solidità, esaustività, rigore temporale, individualità, finitezza. Le pagine si fanno liquide, dinamiche, si dematerializzano; le trame s’ingarbugliano, si collettivizzano, s’ipertestualizzano. Contenitore e contenuto solo da lontano appaiono dicotomici, subordinati, l’uno distante dall’altro o l’uno al servizio dell’altro, ma ad uno sguardo più prossimo si rivelano interdipendenti, interagenti. Le narrazioni, così, assumono forme e linguaggi delle interfacce che le accolgono, che le incorniciano, che le duplicano, che le frantumano, che le compongono e le ricompongono. I nostri sprazzi di vita si prestano a molteplici e continue analisi: quelle dei lettori e quelle delle macchine. I guizzi narrativi convergono in quella sintassi algoritmica che segna il transitare dei simboli in altri simboli, in un processo di conversione linguistica, comunicativa e contenutistica che si accende di diverse intensità nei “silos” infrastrutturali delle tante interfacce e applicazioni tecnologiche. Raccolte all’interno di nuvole digitali, le storie vengon giù come diluvi narrativi che, sfidando la gravità della struttura del racconto, percorrono itinerari non lineari, e nemmeno verticali, disseminate come sono su molteplici piattaforme mediatiche, ciascuna delle quali appare come possibile via di accesso per ulteriori copioni e sviluppi tematici. Siamo chiamati, dunque, ad attraversare plurimi e differenti spazi di comunicazione e di intermediazione sociale, ad acquisire gli alfabeti dell’ecosistema digitale, a sviluppare livelli di consapevolezza mediale, che, mi auguro, in una sorta di viaggio riflessivo, esorbitino dai confini dell’epidermide tecnologica stanziandosi su valori e principi sempre riconducibili alla dimensione umanistica.