La “biologica” eleganza del Faro di Biagio Bonfiglio
Per uscire dalla crisi occorre che i ristoratori raccontino il nostro vino, che dedichino qualche minuto ai prodotti del nostro territorio.
Biagio Bonfiglio, chirurgo vascolare al policlinico, assieme al figlio Antonino, a agli altri componenti della famiglia, dalla moglie Beatrice ai figli Emanuele ed Eleonora, conduce un posto magico, le cantine Bonfiglio, dove si respira la passione.
E’ uno dei luoghi che nel 2009 fu spazzato via dall’alluvione che causò morte e distruzione. Chi meglio di lui, che sulle sue vigne ci mette l’anima e produce tre vini, il Faro Doc Piano Cuturi, il Faro Doc Beatrice e l’Igt Rosato Terre siciliane, può misurare la temperatura del settore vinicolo?
La sua azienda è nata nel 2005 ma ha già parecchia storia alle spalle… Ha vissuto, a Briga, la tragedia dell’alluvione ed è risorta da quelle macerie.
Adesso si è ritrovata ad affrontare prima il lockdown e poi la crisi da post Coronavirus…
“Lo spirito è sempre lo stesso: cercare di fare un prodotto di qualità rispettando l’ambiente. Dal 2018 i nostri prodotti sono diventati biologici. L’azienda ha abbracciato un percorso. Sistema di elettrificazione con il fotovoltaico, macchinari a basso consumo e abolizione totale di pesticidi, disserbanti e prodotti chimici. Quest’anno dalle nostre cantine uscirà fuori il primo vino Faro Bio del territorio di Messina che potrà vantarsi di essere stato certificato”.
Peggio l’alluvione o peggio la pandemia per il vostro vino?
“Peggio la pandemia è difficile dirlo perché non sappiamo quanto questa ancora si farà sentire. L’alluvione del 2009 ha prodotto danni enormi. E ci sono voluti anni per ripristinare ogni cosa”.
Qual è il danno maggiore che avete avuto dal lockdown?
“Il danno è legato alla mancata commercializzazione. Tre mesi in cui le vendite si sono ridotto al minimo hanno lasciato il segno e tante bottiglie in cantina… Adesso, grazie alla riapertura dei ristoranti, sembra che ci sia una ripresa. L’auspicio è che i prodotti siciliani e quelli messinesi vengano privilegiati”.
Cioè occorre comprare e pompare solo prodotti siciliani?
“Si. Ma le dico di più. Dico che a Messina occorre proporre e far degustare i prodotti messinesi. Il turismo esperienziale è anche questo. Si viene in un territorio per provare cosa quel territorio offre. E qui offriamo più vini: Faro, Mamertino, Malvasia… Ritengo che una maggiore attenzione ai prodotti autoctoni nei momenti di crisi vada data. I ristoranti dovrebbero spingere i loro clienti ad apprezzare di più i prodotti che sono del nostro territorio. I ristoratori molto spesso non guidano nella scelta dei vini i clienti che finiscono con il bere i prodotti maggiormente pubblicizzati. Quelli che con Messina o peggio con la Sicilia non hanno nulla a che fare. Il nostro territorio è fatto da piccole aziende che npon hanno un impatto pubblicitario. I nostri maggior sponsor devono essere i ristoratori. Il Faro va illustrato, spiegato, decantato. La gente va fatta innamorare. Forse dovremmo mettere dei sommelier…”
Spostiamoci sul Virus e sulle misure di sicurezza che riguardano la filiere che vi sta più a cuore…Hanno esagerato?
“No. Non credo. La prudenza è d’obbligo. Il distanziamento, le mascherine e l’igienizzazione sono i tre fondamenti. Stano venendo fuori i focolai di ritorno. Il virus fa presto ad alimentarsi. Facciamo attenzione. Non potremmo permetterci un altro periodo di lockdown”.
Ce la faremo ad uscire da questo tunnel della crisi? I ristoranti torneranno a riempirsi?
“Oggi il nostri libri contabili ci forniscono un dato: abbiamo venduto almeno il 40% in meno rispetto allo scorso anno. Gli ordini gli altri anni si facevano a marzo. Quest’anno stanno arrivando a luglio. Si stanno facendo adesso e con grande cautela”.
E il vino come è messo? Quanto ha perso con questo lockdown?
“Quest’anno il fatto che siano saltati eventi importanti come Vinitaly, o come gli eventi tedeschi, o come Taormina Gourmet, ha penalizzato il settore. La maggior parte dei produttori si trova con grandi stock in magazzino. Migliaia di ettolitri in magazzino per le grandi aziende sono un problema. Si comincia a parlare di una distillazione d’emergenza con degli incentivi per trasformare il prodotto meno pregiato in alcool. E’ triste ma almeno servirà a qualcosa…”
Cosa chiedete da produttori al governo? Hanno fatto abbastanza per le aziende agricole?
“Noi come piccola azienda non possiamo avere grandi pretese. Non abbiamo possibilità di grandi esportazioni. Produciamo dalle 5 alle 6 mila bottiglie all’anno. Gli operai li prendiamo solo stagionalmente. Non c’è il problema della cassa integrazione”.
Qual è il segreto per fare un buon vino?
“Partire da un buon prodotto: l’Uva e poi la terra”.
La vendemmia la fate da soli? Prendete dei braccianti?
“La vendemmia per noi è una festa di famiglia. Invitiamo qualche amico e ingaggiamo solo qualche operaio.
Essendo il nostro faro un blend di cinque vitigni, il Nerello mascalese, il Nocera, il Nerello cappuccio il, Nero d’Avola, il Sangiovese, segue dei tempi di maturazione diversi. Occorre quindi fare più vendemmie. Facciamo più feste…”
Bianco, rosso o rosè?
“Noi non produciamo bianco. Rosso e rosè per me sono come due figli. Per me hanno lo stesso valore”.
Il miglior complimento che hanno fatto al vostro vino?
“Molte persone che lo hanno consumato lo hanno definito elegante. E questo è capitato anche durante la cena di gala organizzata a Roma per festeggiare l’elezione del presidente Trump. Lui però non c’era…”.