Il tempo del cibo e quello atmosferico. Le previsioni meteo nella tradizione contadina.
Clima e agenti atmosferici condizionano direttamente il cibo e la sua preparazione. Il lavoro nei campi e la cultura contadina con i suoi racconti, le sue leggende, i suoi usi, le sue usanze, paradigma di un mondo cadenzato dalla zappatura, dalla semina, dalla conduzione dell’orto e da un raccolto sempre incerto, perché vincolato al buono e cattivo tempo.
La previsione meteo è fondamentale per moltissime attività dell’uomo di oggi e grazie ai satelliti, ad una serie di strumenti di precisione, spesso derivanti da invenzioni e strumenti antichi, e soprattutto con una rete di diffusione dati a livello globale, semplicemente aggiornando lo smartphone, si possono conoscere le condizioni metereologiche che si troveranno fuori casa.
Il clima influenza anche l’alimentazione non solo perché una nevicata in montagna può favorire il desiderio di un piatto di canederli alla tirolese (Knödel) – gnocchi di pane conditi con speck cotti in brodo – o in una bella giornata al mare, far gustare in anticipo il profumo di una zuppa di pesce. Clima e agenti atmosferici più in generale, con la grande variabilità metereologica della nostra Penisola, condizionano infatti più direttamente il cibo e la sua preparazione.
Molti prosciutti ad esempio sono più dolci perché hanno una stagionatura naturale, con poco sale e nelle zone ventose, con il cambio di correnti fresche e asciutte o altre più calde e umide, si determina alternanza di secco e umido, che garantisce un’eccellente stagionatura.
Ma gli esempi potrebbero riguardare pure la pasta del pane e della pizza, che per lievitare correttamente ha bisogno di temperature comprese fra 20 e 25 gradi e, soprattutto, non deve subire bruschi sbalzi di temperatura, e che nel messinese per via dei periodi caratterizzati dai venti di scirocco, ha tutto un suo protocollo. L’umidità dell’aria determina, quanto è troppa un impasto “bagnato” e appiccicaticcio, e all’opposto, asciutto e duro, e quindi con la tramontana la focaccia è più croccante mentre con lo scirocco lo è molto meno.
Lo studio del clima, dell’alternarsi delle stagioni e delle possibilità di periodi freddi e di pioggia era già attivo ai tempi dei Romani, ma le prime vere osservazioni scientifiche risalgono alla prima metà del Quattrocento. Il termine meteorologia deriva da Meteorologica, titolo del libro scritto intorno al 340 a.C. da Aristotele che presenta osservazioni miste a speculazioni sull’origine dei fenomeni atmosferici e celesti. Nel XVI secolo Leonardo da Vinci costruì poi un anemoscopio e un igrometro meccanico descrivendoli nel codice Atlantico e Galileo Galilei inventò un indicatore di temperatura, predecessore dei termometri. Tra le stranezze relazionali tra meteorologia e cibo quell’esperimento nel 1842, del matematico e meteorologo americano Elias Loomis, che per comprendere la velocità del vento necessaria a spiumare un pollo, caricò un cannone con polvere da sparo e un pollo.
Il tempo atmosferico si lega da sempre al tempo del mangiare e della produzione di cibo, che convivono nelle specificità delle Regioni italiane, riferimento di tradizioni, di saperi, di piatti tramandati nei secoli, particolarmente attraverso la connotazione etnoculturale dei proverbi della cultura contadina.
Nel milanese si sente dire, Quattam ‘l còo che poeu te foo vedè quell che son bon de fa – È il chicco di grano che dice al contadino di interrarlo, così gli potrà dimostrare il miracolo della germinazione e la ricchezza della spiga; in Sicilia, Jnnaru siccu, massaru riccu, quannu Dicembri lassa ‘u lippu –Gennaio senza pioggia è positivo quando Dicembre è stato piovoso da lasciare l’umido-; Favi siminati nta strina, carricunu dù zuccu finu a cima – fave seminate per l’epifania crescono piene di frutti; Trigghi, sardi e masculini di Jnnaru e opi di Marzu –triglie, sarde ed alici a Gennaio ope a Marzo ; o a esemplificare la cibografia, il napoletano: A jennaro sotto ‘a neve, pane, sotto ‘o chiovere ‘a famma – se a gennaio c’è la neve, crescerà il grano; se pioverà, si avrà un raccolto da fame.
Al centro di questo patrimonio vi è il lavoro nei campi e la cultura contadina con i suoi racconti, le sue leggende, i suoi usi, le sue usanze, paradigma di un mondo cadenzato dalla zappatura, dalla semina, dalla conduzione dell’orto e da un raccolto sempre incerto, perché vincolato al buono e cattivo tempo.
All’aspetto meteorologico si rifà infine l’antico rito siciliano dei Carènnili, i dodici giorni che precedono la notte di Natale, a cui secondo l’uso dei contadini si dà il nome e il significato di un mese dell’anno a venire, cominciando in ordine progressivo dal 13 che raffigura gennaio, e finendo al 24 che rappresenta dicembre. Il tempo buono, mediocre, cattivo che vi sarà in quei giorni è indicativo dell’andamento climatico di tutto un mese secondo il detto dei campagnoli: li ducici misi di l’annu novu si comincianui di li dudici jorna prima di Natali – i dodici mesi dell’anno nuovo si iniziano dodici giorni prima di Natale. Ogni giorno rappresenta un mese, ogni momento della giornata indica la previsione climatica della successiva annata agraria. Le Carènnili , espressione siciliana che deriva dal latino calende (kalendae) primo giorno di ogni mese, si lega probabilmente al calendario–cippo in uso tra i contadini al tempo dei romani con la raffigurazione dei segni zodiacali; calendari riservati agli agricoltori, cioè menologia rustica, almanacchi agricoli, che fornivano informazioni mensili sulle condizioni e sulle attività relative alla coltivazione della terra.