“Il pranzo natalizio dei poveri” spesso passerella da sfruttare per notorietà. Ma Dio legge tra le coscienze. L’esempio di San Vincenzo Ferreri.
Alla vigilia del Natale fervono le proposte per aderire a svariate e fantasiose iniziative per richiamare l’importanza della solidarietà verso i dimenticati, gli ultimi e l’attenzione verso le povertà che, vecchie o nuove, impediscono a molti di vivere la propria dignità umana e spirituale. Molte di esse, sono proposte in sostituzione del Pranzo natalizio dei poveri che, alle volte, è diventato un appuntamento significativo e coinvolgente, anche per i non credenti.
Il rischio, come sappiamo e come da molti rilevato, è che il tutto si riduca a una passerella da sfruttare in termini di notorietà, vedi il caso di Fedex. Ma come sappiamo nelle coscienze, sa leggere solo Dio. A noi più che criticare, mi sembra più giusto chiedersi: io, che cosa sto facendo?
Forse, non tutti conoscono l’origine del Pranzo natalizio dei poveri e, come per altre circostanze, rischiamo di non vivere la realtà con le giuste disposizioni e intenzioni, cadendo nella banalità e nel sentimentalismo patinato e mieloso. Inutile e, soprattutto, dannoso per tutti.
Il tutto ha avuto origine dalla mente e dal cuore di San Vincenzo Ferreri che, guardando la realtà non poteva non chiedersi, in che maniera potesse vivere e, proporre di far vivere, la carità verso il prossimo.
Ma chi era il nostro santo? Vincenzo Ferreri (Valencia 25 gennaio – Vannes 5 aprile 1419) è considerato come uno dei più grandi santi amati e conosciuti santi della Chiesa cattolica, oltre che per la santità della sua vita, sicuramente i suoi miracoli così straordinari, narrati e documentati in vita e morte, “era un miracolo, quando non faceva miracoli…” gli hanno valso questa fama che, resiste, in confronto anche ai santi più venerati in epoca successiva fino ai nostri giorni.
Da buon domenicano si è sforzato di essere al servizio della Parola di Dio e della Verità da pregare, insegnare e predicare. Questo non gli ha impedito di commettere degli errori, come quello di aderire all’antipapa Clemente VII, ma resosi conto dell’errore, abbandonò il palazzo di Avignone. Oltre che di diverse opere di carattere filosofico e teologico,è autore del Trattato sulla vita spirituale che, costituisce un valido itinerario di conversione e santità del credente, da vivere secondo la propria condizione ecclesiale e sociale.
Nel Sermone della Natività di Gesù, San Vincenzo Ferreri riferisce che conosceva un mercante, Valenziano, il quale aveva la devozione di invitare a pranzo ogni anno nel giorno di Natale un povero vecchio ed una povera donna che allattasse un bambino in memoria di Gesù, Maria e Giuseppe. Morto quest’uomo, apparve ad alcuni amici, che pregavano per la sua anima, dicendo loro, che quando morì gli apparve la gloriosa Vergine Maria col bambino in braccio, accompagnata da San Giuseppe, che gli disse: “Poiché tu ci ricevesti in casa mentre eri in vita, vieni adesso con noi, che con tanta gioia ti vogliamo ricevere nella nostra”. E così lo condussero nella patria celeste a godere della beata eternità.
Questa devozione che, una volta si svolgeva solo il giorno di Natale, da diverso tempo, si svolge anche il 19 marzo, dedicato a San Giuseppe.
Il racconto permette di poter riflettere, alla luce del Vangelo, con San Vincenzo Ferreri, su come possiamoe dobbiamo intendere le opere buone che, per i cristiani, non è solo filantropia ma sapere riconoscere Gesù nel nostro prossimo. Infatti: “Ciò che hai fatto al più piccolo dei miei fratelli l’hai fatto a me… venite benedetti dal Padre mio” (cfr. Mt 25).
Di fronte, quindi, alle tante emergenze e tragedie del nostro tempo (ambientali, economiche, della mancanza di tutela dei diritti naturali della persona umana) non sappiamo distinguere che, prima di tutto, è l’uomo che esiste, lavora, elabora le forme della società e dell’economia, dell’arte e della cultura ecc. ecc. Altrimenti, come insegna papa Francesco: “si tratta di falso pietismo, se non consideriamo che prima: viene l’uomo…”.
D’altronde il Natale di Gesù, è un ri–mettere e un ri–considerare il rapporto con l’Emmanuele (il Dio con noi) in termine esistenziali e non celebrativi. Solo allora, forse, saremo nella condizione di poter celebrare e vivere il nostro Natale.