Il Natale della Messina che fu, tra note, ricordi e “putie” addobbate
Esiste una identificazione tra cibo e festività, variabile in connessione con gli schemi culturali egemoni, religiosi e non, ma anche con le vicende della storia di un territorio, come lo si può evincere ad esempio per Messina, da un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia del 25 dicembre 1895, “Il Natale in Messina – note e ricordi”, dallo studioso Giuseppe Arenaprimo (1862-1908). Vi si legge un quadro del clima festivo che accompagnava l’allestimento delle botteghe cittadine per la Vigilia di Natale da parte dei “paraturi”, precursori dei vetrinisti di oggi.
Addobbavano l’ingresso delle “putie” come se si avesse l’impressione di varcare una grande grotta come quella di Betlemme, piena zeppa di frutta e i macellai esponeva interi bovini, salsicce e sanguinacci con cioccolata e la fastuca (il pistacchio) o maiali con la testa ornata di nastri coloro rosso contro il malocchio o la jattura o e con “mastro Nucola u nanu”, statuetta di gesso, dipinta alta circa cinquanta centimetri, con le mani in tasca, il sigaro in bocca a portare fortuna nelle vendite. Altri posizionavano una riproduzione del “u vascidduzzo”, in argento con vele spiegate al vento e carico di frutta secca.
Tale tradizione scemata dopo il terremoto del 1908, avrà un risveglio alla fine del secondo conflitto mondiale, per esorcizzare la fine del periodo della carenza di cibo durante il periodo bellico e una interpretazione adeguata ai tempi, negli anni cinquanta, all’inizio del boom economico. Stesso tipo di allestimento coreografico era comunque riservato anche da gestori delle pescherie che esponevano l’anguilla o il baccalà. Era costume un tempo che, il giorno della vigilia, si mangiassero tredici pietanze, compresa la frutta, i dolci ed i torroni bianchi e neri.
Una rielaborazione di quell’articolo, sempre dello stesso Arenaprimo, apparirà nel numero 8-9 di novembre-dicembre 1906 della rivista “Sicania”, per raccontare come i fruttaioli tramutano le botteghe in esposizioni bizzarre e pittoresche. Nell’interno, sulle panche alte e larghe, disposte a proscenio, in fondo alle quali risalta la “cona du Santu Bamminu”, figurano tutte le specie di scacci, caseddi di castagne, virdi e furnati, di carrubbe, di noci di mandorle, di nocciuole
Gli stipiti e l’architrave della porta spariscono di sotto ai festoni variopinti di pere, di melegrane, di pomodoro e mandarini, tempestati di fiori, di banderuole di carta, da filigrane, spariscono sotto ai puponi, simmetricamente disposti e listati da orpello, alle stelle, ai fantocci, ai vascelluzzi, ed agli stecchi di fichi secchi, alle ceste di datteri, e di uva passa, ai trofei di grappoli d’uva, fresca come in agosto, ed ai canestri di carciofi, di piselli, di fagioli, vere primizie della stagione. Ed al pari delle botteghe dei fruttaioli e dei pizzicagnoli, presentano un bel colpo d’occhio, un insieme curioso, caratteristico, quello dei verdumai.
Per i menù della fine dell’anno dell’era Covid 19, occorrerà tarare in diminuzione le dosi delle ricette e accrescere positività e auguri di un “sereno Natale e buon anno”, a quanti siederanno e non, al tavolo del “convivio”.