Il razzismo nel film “Il diritto di opporsi” è perpetuato in maniera sfacciata e le autorità sembrano non tanto cercare giustizia quanto far contenta la gente (bianca) e “tranquillizzare la comunità”, trovando in fretta un colpevole. La scelta, effettuata spesso sulla base dell’incredibile giustificazione “basta guardarlo in faccia”, ricade quasi sempre su individui afroamericani e
ci dice quanto ben poco sia cambiata la situazione rispetto ad un altra “enorme” pietra miliare della letteratura e del cinema, ambientata nella stessa cittadina, negli anni trenta “Il buio oltre la siepe”.
Il film è toccante, a volte struggente e riesce a farci riflettere.
Il “ diritto di opporsi” è un esempio di cinema sociale, poiché ci rammenta non solo come in alcuni stati i bianchi possano decidere arbitrariamente di usare persone di colore come capro espiatorio, quasi fosse nella loro natura esserlo, ma anche come risultino molti innocenti tra chi trova la morte per mano dello Stato. La narrazione solida, condotta con ritmo lento e costante, mostra le scorrettezze, le falle e gli squilibri di un sistema giuridico dimentico di quanto ogni vita umana sia preziosa, nonché reo di pregiudizi sociali e razziali.