Il cibo di Pasqua e l’esplosione esistenziale siciliana tra fede, religione e legame di sangue.
Ciusceddu, paninini di cena, cuddure, cassate; il cibo come il rito segna una sorta di indice di riconoscibilità unitamente alle manifestazioni religiose che come scriveva Leonardo Sciascia “sono riti fondati dell’essere siciliano, sono rigenerazione del legami di appartenenza, di famiglia e di sangue, sono atavica contemplazione della morte”.
Il passaggio dagli eccessi del Carnevale alla sobrietà della Quaresima e alla letizia della Pasqua era ritmato dall’antico proverbio: Nesci tu, porcu manciuni; trasi tu, sarda salata; veni tu, donna disiata; va via porco ingordo, entra sardella salata; vieni tu, donna desiderata; con il porcu manciuni a rappresentare il carnevale; la sarda salata la Quaresima; la donna disiata la gioia della Pasqua.
La festa religiosa richiama l’uso devozionale dei cosiddetti “ranaroli”, i germogli di grano fatto crescere al buio per mantenerlo bianco, che si allestivano per i Sepolcri in chiesa il giovedì Santo; erano i “lavureddi”, da “lavuri”, con cui si definiva l’esteso campo di grano preparato dai contadini con la “zzappulìa” e la sarchiatura. Una tradizione che conferma il legame con gli usi gastronomici di tale periodo liturgico evidenziato anche dall’uso fino all’ottocento, di chiamare Pasqua di li cassati, la domenica di resurrezione, quando la celebrazione della festa era marcata dalla cassata. Forse il dolce più antico a cui si attribuisce una genia araba ma anche origini nella casciata nota in tutte le regioni italiane sin dal secolo XV, generando una dialettica tra storici come Michele Amari ed Ettore Li Gotti. Già nel XVIII secolo la cassata era apprezzata dai buongustai e divenne una specialità nei monasteri di Palermo e Mazzara e nel 1575 un sinodo della diocesi mazzarese ne proibì la preparazione perché presumibilmente le suore ne avevano fatto una occupazione preminente
La Cassata siciliana, per la pasta reale a base di mandorle ha certo complicità d’origine araba con aggiunte normanne , ma anche spagnole per il pan di spagna che sostituì la pasta frolla. La variante messinese trova una glassatura più lieve; la cioccolata miscelata alla ricotta e ‘a frutta ncillippata, la frutta candita, così come la zuccata meno presente. Il dolce pur riunendo e rappresentando tutta la Sicilia, infatti si disaggrega con le differenze dovute a quel magma di storia e cultura, caratterizzanti un territorio con tre coste e tre mari, e che raffigura idealmente la tripartizione medievale nel Val Demone, Val di Noto e Val di Mazara. Dolce millenario, fu rielaborato in periodo normanno, intorno al 1100, quando nel convento della Martorana a Palermo, le monache realizzarono la “pasta reale” a base di farina di mandorle e zucchero, trasformato dal grande pasticciere palermitano Salvatore Gulì, che ne codificò la versione nel 1873, con l’introduzione della “zuccata” di sua creazione, ingrediente principe della cassata.
Frutta martorana, pecorelle (picureddi) e agnellini di pasta di mandorle, cuddure, biscotti quaresimali, si aggiungono al quadro di dolci pasquali ma anche i pani di cena, aromatizzati con cannella e chiodi di garofano e ricoperti di sesamo. Sono tipici della tradizione pasquale nella Sicilia orientale, e in particolar modo a Messina, legati ai rituali del Giovedì santo.
Per il tradizionale Pranzo di Pasqua in primo piano capretto ed agnello cucinati secondo le diverse tradizioni cittadine e u sciusceddu, una minestra di origini francesi a base di uova, polpette e ricotta che si gusta nel messinese. Il sciusceddu, dal latino iusculum, brodetto o minestra liquida, preparato per il pranzo di Pasqua, è a base di ricotta e trito di carne che addizionato a un uovo, pangrattato, caciocavallo, prezzemolo tritato e con un poco d’acqua si prepara un impasto per ottenere delle polpettine della grossezza di un uovo di piccione. A parte, si sbattono le uova insieme con la ricotta preventivamente passata al setaccio, e con il caciocavallo e un poco di sale e pepe. Nel brodo, si immergono le polpettine di carne, cuocendole per una ventina di minuti, aggiungendo le uova sbattute con la ricotta e rimescolando velocemente per qualche istante.
I riferimenti al cibo forniscono ancora una volta indizi di riconoscibilità di “quella sorta di esplosione esistenziale” delle manifestazioni religiose che come scriveva Leonardo Sciascia “sono riti fondati dell’essere siciliano, sono rigenerazione del legami di appartenenza, di famiglia e di sangue, sono atavica contemplazione della morte”.