Dopo il plancton marino chef Angel Leon porta a tavola il grano del mare
L’eclettico cuoco Andaluso già scopritore dell’ uso del fitoplancton nelle preparazioni di alta cucina ci riprova con la Zoestera Marina ed è come assaporare l’oceano.
Il sito web del ristorante Aponiente nella sede del Molino de Mareas, sull’estuario del fiume iberico Guadalete, che sfocia nel mare di Cadice, ha una home page che la dice lunga sulle aspirazioni delsuo chef, Ángel León; a prendere il posto del cielo, nello scenario è il mare, una immagine simbolo per invertire i segni tradizionali, terra e cielo, e scambiarne forse i suoi prodotti.
Lo chef spagnolo ha recentemente scoperto il grano del mare, piccoli semi prodotti da piante come la Posidonia che sono più nutrienti del riso e di cereali come l’orzo, il frumento, l’avena o il mais e anche buoni da mangiare. I semi delle fanerogame marine da sempre hanno attirato la curiosità di dello chef spagnolo che ha scoperto, suffragato da esami e ricerche dell’Università di Cadice, il loro contenuto fino al 50 per cento di proteine in più rispetto al riso, assenza di glutine e la ricchezza di omega 6 e 9.
Nutrienti e altamente digeribili, lo chef León li usa nelle sue ricette, strenuo assertore della “cocina del mar. Cocina del mar descondido. De todo el mar que nos queda por explorar, de casi todo el mar. Cocina del mar que creemos conocer. Cocina del mar que despreciamos, que olvidamos. Cocina del agua salada, de la sal, del plancton, de las algas. Cocina del origen del mundo”. Cucina di mare. Cucina del mare nascosto. Di tutto il mare che dobbiamo ancora esplorare, di quasi tutto il mare. Cucina di mare che pensiamo di conoscere. Cucina di mare che disprezziamo, che dimentichiamo. Cucina di acqua salata, sale, plancton, alghe. Cucina dell’origine del mondo.
La pianta in questione si chiama Zostera marina ed è una pianta subacquea che si nutre dell’acqua in cui vive, e le sue coltivazioni non necessitano di fertilizzanti o pesticidi e con la produzione di ossigeno sottomarino promuove la biodiversità negli ambienti circostanti. Come sta avvenendo inun’area di circa 3000 metri quadrati nel Parco Naturale di Bahía de Cádiz ove si è data vita a una vera e propria coltivazione di questa fanerogama marina della famiglia Zosteraceae.
È una specie a vasta distribuzione eurasiatica, in Italia presente lungo le coste adriatiche, un tempo anche altrove, ma oggi scomparsa quasi ovunque e che cresce in fondali marini tra uno e 5 metri di profondità, generalmente in acque salmastre. Veniva consumata come alimento da alcune tribù di indiani d’America lungo le coste del Messico, mentre le foglie venivano usate anche come imbottitura di materassi e cuscini, e per isolare i tetti nell’isola danese di Laesø. Il nome generico deriva dal greco ‘zoster’ (nastro) e si riferisce alla forma delle foglie, quello specifico si riferisce all’habitat (marino)e la forma biologica è idrofita radicante.
Il sapore della Zostera lo chef andaluso lo trasmette nella sua preparazione del pane, della pasta e nella rivisitazione di piatti classici della cucina spagnola; “Quando lo mangi con la buccia –ama confessare Leon che non è seguace della cucina molecolare – è simile al riso integrale e alla fine ha una nota di mare. Senza la buccia invece non assapori il mare”. E con questa filosofia lo chef propone una gastronomia marina essenzialista, ma saporita, una cucina a base di pesci umili e sconosciuti, estranei all’alta cucina, poco costosi eppure inestimabili e presenti nei suoi menù –tre stelle Michelin– che arrivano a costare 215 euro a persona.
Novità interessante comunque e non sembra inquietante come lo sono apparsi il burger senza carne della Beyond Meat, numero uno a livello mondiale nella produzione di alternative vegetali alla carne, o gli insetti commestibili nella dieta del terzo millennio, i frutti esotici nati da lunghe sperimentazioni, o le birre derivate da scarti alimentari.
Del resto da millenni le alghe fanno parte della cucina tradizionale di molti paesi asiatici, in particolare Cina, Giappone e Corea, ma con gli anni e con la migrazione di popolazioni da Oriente verso Occidente, le alghe sono arrivate sulle tavole di tutto il mondo. Qualcuno le considera ancora un cibo “strano”, altri le mangiano senza nemmeno farci troppo caso gustandosi un maki al ristorante giapponese, altri ancora – per esempio chi segue un’alimentazione macrobiotica – le ricercano per le loro proprietà salutari.
Gli esperti della Food and Agriculture Organization (FAO) in un documento dedicato proprio all’industria delle alghe, hanno evidenzia che Cina, Corea del Sud e Giappone restano i principali produttori mondiali di queste “verdure di mare”, ma ormai in tutto il pianeta si valuta con grande attenzione un nuovo tipo di agricoltura che guarda al mare.
Il professor Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn, fondata a Napolinel 1872 e oggi tra i più importanti enti di ricerca italiana nei settori della biologia marina e dell’ecologia, ha messo a punto nel 2017, un rapporto per la Commissione Europea, “Food From the Oceans” che sarà alla base della pianificazione delle future priorità politiche e delle risorse dell’Unione Europea stessa.
La popolazione mondiale è in aumento, così come il bisogno di cibo e il cibo marino può contribuire agli obiettivi di sostenibilità perché il potenziale di produzione biologica oceanica è elevato, ma consumiamo ancora relativamente poco. Tale parere scientifico consiglia come aumentare la quantità di cibo proveniente dagli oceani in modo sostenibile e le raccomandazioni hanno improntato le proposte per il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca post-2020.
Infine per le “verdure del mare” è importante sottolineare che assorbendo nutrienti dall’acqua, le alghe creano un microambiente perfetto per piccoli pesci e crostacei e la coltivazione di microalghepotrebbe contribuire a ridurre il fenomeno della eutrofizzazione e ad aumentare la biodiversità nelle aree costiere.