Dalla lamiera smaltata ai led elettronici come raccontavano le città le insegne amiche del “vecchio turista”
Un tempo erano di lamiera dipinta e più anticamente affrescate sui muri, a volte ricche di elementi decorativi pittoreschi nella loro composita semplicità, accoglievano i molti clienti di passaggio, a piedi o a cavallo, in epoche in cui viaggiare rappresentava veramente un’incognita.
Le insegne per indicare ristoranti, trattorie, osterie sono tra le soluzioni più immediate per promuoverne l’attività sul territorio. Una studiata insegna all’esterno del locale, fornisce una serie di messaggi per destare l’attenzione del cliente trasferendogli indicazione del luogo, tipologia di ristorazione, tipo di offerta, legame con il territorio.
L’Albergo d‘Italia, rivista storica del Touring Club Italiano, nel numero di gennaio del 1931, dedicò un ampio servizio alle insegne, attribuendo loro il valore di “amiche del vecchio turista”. Il riferimento era all’antico modo di viaggiare a bordo di diligenze trainate da cavalli, con il postiglione sull’alto sedile del mezzo, pronto a tirare le redini e fermarsi alla vista dell’insegna di una locanda, di un’osteria, che appariva come una reggia per i viaggiatori “anelanti ad un po di distensione dei muscoli, di ristoro e di riposo”.
Il valore di quell’insegna a bandiera, era un segnale dell’esistenza di un tetto ospitale, amico del turista, del viaggiatore, di un tempo già confortato da quell’annuncio di ristoro. Erano di gusto seicentesco o settecentesco, ma anche neoclassiche; arte spicciola per espressioni fantastiche, oggettive o storiche, figurative o emblematiche.
Una consuetudine codificata sin dal 1385 da Gian Galeazzo Visconti che prescriveva che gli osti della città e della diocesi di Bergamo avessero pubblicamente esposta, l’insegna del libero esercizio e si veniva contravvenzionati come accadde nel 1580 a tale Giorgio Pigetto di Zandobbio perché “esercitava osteria senza insegna”. Più tardi nel 1830 un editto reale piemontese comminava perfino una multa di venti lire a “tutte le Insegne e gli scritti informi e peccanti di errori in lingua”.
L’insegna con le sue raffigurazioni ha avuto quasi sempre una pretesa artistica, e tra le poche che rimangono come le osterie del Bergamasco e gli alberghi della Svizzera, della Baviera e della Normandia sono conservate in musei.
Veri e propri artisti vi si dedicarono alla loro realizzazionecome Bernardo Palissy e Andrea Brustolon, cui furono rispettivamente attribuite un’insegna dell’albergo parigino Au Fort Samson e quella d’una spezieria veneziana, All’Ercole; fra Vittore Ghislandi, per il barbiere Oletta ne dipinse una, e Jean-Antoine Watteau, nel 1720, eseguì l’insegna per Edmé-Frangois Gersaint, suo amico mercante di quadri e poi nell’ottocento il pittore e litografo francese Carle Vernet e il disegnatore parigino Paul Gavarni. Jacques Androuet du Cerceau, pseudonimo di Androuet, architetto e scrittore francese scomparso nel 1584, ne incluse varimodelli sporgenti e in metallo nel suo Livre de serrurerie.
Ricca poi la letteratura, dalle leggi e dai bandi che ne disciplinarono l’uso, ai documenti d’archivio; dai novellieri e romanzieri, dal Boccaccio, ai viaggiatori, fino a Victor Hugo, che ha tributato all’insegna una delle sue lettere renane; e poi studiosi regionali, come il profilo che interessò già nell’ottocento, il medico-etnoantropologo siciliano Giuseppe Pitrè, che inserì le insegne di botteghe in un capitolo del suo La Famiglia, la casa, la vita edito nel 1913.
Un’arte di disegnare ma anche di scrivere che è andata via via scomparendo e che ha raggiunto la schematicità ed omogenizzazione di una grafica generata da un computer non consapevole delle memorie e delle peculiarità di un territorio.
L’orientamento più attuale è quello, fedele a uno dei capisaldi del marketing suggeriti da Steven Paul Jobs, l’imprenditore informatico statunitense, cofondatore di Apple, “less is more”, meno è più, e quindi dimensioni delle insegne, che diventano minimali ma posizionate adeguatamente e con un progetto luminoso ad hoc, per attirare maggiormente l’attenzione. Che poi a proposito di ristoranti è la filosofia seguita da Gualtiero Marchesi: ”minimalismo e esaltazione del gusto”.