Dal panino al salame alla dieta a rotazione: come è cambiata nel tempo la mensa scolastica.
“Un alunno tormentato dalla fame sta tanto male in un’aula, quanto uno che abbia il dolore di teste, di ventre, di denti o la febbre”. Gli interventi dei comuni per trasformare il panino della sera prima in un pasto piacevole (anche per i bisognosi).
Venticinque grammi di salame stagionato, trenta di formaggio gruviera ed un etto di pane: era quello che un tempo veniva dato ai bambini per la refezione scolastica.
Companatico differenziatosi nel tempo come il contenitore, il panierino, che da metallo fu realizzato in cartone pressato, poi in vimini, e in plastica prima di tramontare con l’avvento della mensa scolastica. Quella che una volta era chiamata refezione, offre oggi un menù invernale o estivo, differenziato per tipologia di scuola, elaborato da dietisti, sulla base della dieta mediterranea costituito da un primo piatto (pasta, riso, cereali…), un secondo (carne, pesce, formaggio, salumi, uova, polpette vegetali o di legumi), contorno, pane e frutta fresca.
Una combinazione che soddisfa i fabbisogni di crescita di bambini e ragazzi, costituendo anche una occasione per educarli al gusto e per incentivarli a superare la monotonia alimentare, che a volte caratterizza il loro quotidiano, e offrendo soprattutto un momento di convivialità con i compagni di classe.
Il menù deve garantire infatti una varietà qualitativa e idonee grammature in quanto il pasto a scuola “…rappresenta il punto di partenza per equilibrare l’alimentazione giornaliera e prevenire l’obesità in età evolutiva…”.
Deve essere elaborato su 4/6 settimane, a rotazione, e diversificato per le stagioni tenendo conto delle tradizioni locali, privilegiando i prodotti a filiera corta (Km 0), IGP, DOP, STG; associati a verdure, ortaggi e legumi.
Il luogo dove i cuochi preparano i pasti per le mense scolastiche è la Cucina Centralizzata, definito anche Centro Cottura o Centro Preparazione Pasti che può essere decentrato rispetto al plesso, un po’ come si faceva quando si preparava il panino a casa la sera prima perché la mattina era tutta una corsa, panino che quasi sempre arrivava all’ora di ricreazione già celatamente smangiucchiato sotto il banco.
L’idea di una refezione scolastica, emerse tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento per integrare il cibo che gli alunni consumavano in famiglia. I pedagogisti Antonio Martinazzoli, Luigi Credaro nel loro “Dizionario illustrato di Pedagogia” (1894), annotavano che «se manca il nutrimento, vien meno l’energia fisiologica e psichica; e l’occupazione scolastica diventa un tormento per l’alunno, nel quale subentrano apatia, irrequietezza, noia, con nocumento della disciplina, con perturbazione dell’andamento interiore della scuola, con manifesto danno generale dei condiscepoli, con fatica del maestro.
Un alunno tormentato dalla fame sta tanto male in un’aula, quanto uno che abbia il dolore di teste, di ventre, di denti o la febbre». Si crearono così le tabelle dietetiche per le refezioni scolastiche con una soluzione fredda, con formaggio, o cioccolato, marmellata, uova sode, frutta e una calda con minestrone, talvolta sostituito con pane e latte oppure con fagioli conditi e mezzo uovo.
Con l’input del Consiglio Comunale con l’Amministrazione del sindaco Giuseppe Mussi, il 19 dicembre del 1900, Milano dava il via alla refezione gratuita per bisognosi, di 10 cent per i paganti.
Quella spinta progressista d’inizio secolo non fu episodica, a Messina l’Amministrazione del sindaco Giuseppe Arrigò nel 1898, dispose l’istituzione della refezione scolastica nelle scuole comunali, e la corresponsione di un sussidio al Patronato scolastico per una più capillare assistenza agli alunni bisognosi.
Il 7 dicembre 1896, a Bologna il Consigliere comunale, Pietro Albertoni proclamava, la necessità di istituire la refezione scolastica scatenando l’opposizione che vedeva alleati liberali e cattolici e portavoce il sindaco liberale Alberto Dallolio. A Torino il primo esperimento di refezione si registrò alla scuola Aurora nel 1896 con la nascita l’anno successivo del Patronato scolastico, per l’acquisto di derrate alimentari.
Quelle iniziative municipali furono il frutto di una sensibilizzazione innescata per la prima volta in Parlamento durante la seduta del 20 gennaio 1874 con l’on. Benedetto Castiglia, avvocato palermitano, che intervenne a proposito del progetto di legge per il riordino dell’istruzione elementare. In quella sessione di lavori disse: “ Tanti asili quanti ne sono necessari in ogni comune per l’istruzione dei fanciulli e delle fanciulle…E ivi i bimbi stanno una buona parte del giorno; e ivi si dà loro una minestra, una refezione …quale più confortevole cosa !”.
Il Ministero della Salute attraverso la Direzione Generale della Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione con provvedimento del 29 aprile 2010, ha codificato le linee guida per la corretta ristorazione scolastica, proponendo secondo la tradizione italiana un primo, un secondo, un contorno e un dessert, favorendo frutta e verdura in quanto cibi ricchi i fibra, vitamine e soprattutto per la loro fondamentale azione protettiva contro i tumori.
Un pranzo quindi consumato a scuola che, sostituendo il pasto per tradizione principale momento di incontro della famiglia, assume valenze di socializzazione e la componente relazionale, unita ad un ambiente refezione confortevole e ad una adeguata qualità del cibo, permette di vivere il pasto comunitario come un momento piacevole della giornata, come accade per gli adulti andando in un buon ristorante.