Cocktail Delivery? Ci vuole un permesso speciale o violi la legge
L’opinione dei Barman
Dal 4 Maggio si è entrati in Fase Due e per Bar e Ristoranti, in chiusura forzata da due mesi, via libera a domicilio ed asporto.
Se per la categoria food tutto può procedere secondo norma, per quanto riguarda il cocktail vige ancora tanta confusione.
Per Bar e Cocktailbar è in effetti possibile puntare sul cocktail Delivery, ma difficile farlo secondo le norme vigenti, spesso non chiare.
Difficilmente le licenze, in regola con la somministrazione, quindi di consumo sul posto, hanno anche facoltà di effettuare attività di consegna.
Nel caso la licenza dei cocktail bar che vogliono effettuare il servizio non lo consenta, c’è la possibilità di mettersi a norma con dei passaggi obbligati che richiederanno del tempo, quali segnalare la nuova attività tramite “scia”, comunicare all’ufficio delle entrate i codici Ateco dell’attività intrapresa, presentare richiesta all’ufficio Delle Dogane 60 giorni prima dell’inizio dell’attività di Delivery.
Dal punto di vista igienico sanitario, per essere a norma, bisogna modificare il piano di controllo HACCP, dichiarare etichettando il drink luogo e data di produzione, ingredienti, allergeni e scadenza stando attenti ai gradi alcolici da non superare che devono essere comunque verificati dagli uffici preposti.
Detto ciò, possiamo realmente considerare il “Cocktail Delivery” una soluzione da intraprendere o rimane solo un modo, e che quindi ben venga, per non far sentire la mancanza di un momento di spensieratezza ai propri clienti in un momento così difficile?
Lo abbiamo chiesto proprio agli addetti al settore, ascoltando le opinioni di chi lavorando in tre zone diverse d’Italia se ne fa un’opinione.
Milano, Erica Rossi (Slowear 18), avvicinatasi quasi per caso al mondo dell’ospitalità e del bartending, alternando esperienze in american bar, ristoranti e hotel 5 stelle.
Vincitrice di diverse cocktail competition a livello nazionale, nei top 3 alla finale italiana della Diageo World Class 2019. Appassionata ricercatrice di elementi naturali, che con ingredienti semplici e sapori inediti firmano il suo profilo professionale.
Penso sia un’opportunità sicuramente da sperimentare, anche se a mio avviso le persone credo sentano più la mancanza del bar come luogo di convivio e condivisione che per il cocktail in se. L’ atmosfera che si respira al bar, difficilmente si può ricreare a casa.
Una coccola che vorremmo offrire ai nostri clienti in questo periodo così complicato, con la speranza di rivederci presto al bar!
Le norme di per sé, certo non aiutano, non sono così chiare come dovrebbero per consentirci di gestire al meglio la situazione.
Non so quanto possa essere proficuo… sicuramente è un bel modo per rimanere in contatto con i propri clienti e portare avanti quello spirito di aggregazione che tanto c’è caro.
Roma, Dario Gioco, appassionato di Botanica, Cucina e Rugby.
Bar Manager, 15 anni nel settore, passando per il The Black Rabbit Speakeasy (top 10 BarAwards Bargiornale sezione Nuove Aperture 2017) , Club Spirito Speakeasy e Voia Art, Food and Cocktails.
Finalista World Class Italia 2019, BeTheVeroBartender 2019 e nei top 3 per Art Of Italicus 2019.
Credo personalmente che il mondo della ristorazione e del bar già da tempo si stava preparando al Delivery come modello di business da affiancare al proprio lavoro quotidiano , mentre sul cibo si ha terreno fertile, per i cocktails c’è da lavorare ancora tanto per creare questa cultura del bere bene anche a casa, sicuramente questo periodo storico che viviamo potrebbe accelerare questo passaggio.
Quindi non reputo sia ancora la “Golden Age” del Cocktail Delivery , visto il caos burocratico che ruota intorno a questo argomento e la poca chiarezza che vedo in giro tra i colleghi.
Sto seguendo l’apertura di un nuovo locale dove faremo cocktail delivery e vendita da asporto ma ci affideremo a un brand già leader nel settore.
Non penso valga la pena a questo punto mettersi a fare un autoproduzione aumentando costi per l’azienda e inserendosi nel turbine della burocrazia al riguardo.
Penso in generale che le normative che regolamentano il nostro mondo , spesso siano ormai vecchie ed obsolete.
Attendo fiducioso un tocco di modernità e di aggiornamento che segua le esigenze attuali del nostro settore da parte di asl, dogane e monopoli e governo. Siamo ancora una categoria non riconosciuta a livello contrattuale, quindi cosa dovrei pensare se non questo al riguardo?
Economicamente, può avere senso farlo se fatto con senso, perdona la ripetizione di parole, ma vedo alcuni locali e colleghi che non stanno lavorando in funzione del profitto su questo argomento (motivo per cui si sta iniziando a fare).
Se per un drink da asporto , consumo 3 o 4 buste del sottovuoto, perdo tempo per fare e confezionare il garnish , uso prodotti costosi per seguire i trend della miscelazione e porto a casa di chi ordina il mio bancone , non credo ci sia un grande risvolto economico a meno che non ci siano prezzi alti da giustificare i costi, ma personalmente non venderei mai, a più di 6/7 euro, un drink da asporto.
Concludo suggerendo a tutti i miei colleghi di non fossilizzarsi solo su questo argomento per la ripartenza, ma di aprirsi a qualsiasi cosa possa rinnovarli e re inventarli per ripartire più forti di prima e cercare di sopravvivere a questo momento storico per arrivare quanto prima alla forte ripresa del nostro amato Paese.
Palermo, Sonja Scrudato, nata in Germania, cresciuta in un piccolo centro della provincia di Agrigento. Inizia la carriera da barlady a Palermo presso il “13 tapas bar” dove lavora per 10 anni. Nel 2019 entra a far parte di “maison bocum”, fra i migliori cocktailbar della città come bar manager.
Non mi fa impazzire l’idea di Delivery in sé, a meno che non si riesca a personalizzarne il concetto. Insomma, lo trovo un po’ una forzatura, spesso manca l’anima che solitamente è presente nel rapporto cocktail/Bartender.
Non credo li farò, preferisco al massimo il cocktail to go, preparato al momento e da bersi magari all’aria aperta visto che vivo in una città che gode di un clima magnifico, mi sembra la soluzione migliore.
Sono oltretutto contraria, in linea di massima, alla complessità normativa che c’è nel nostro settore. La sovrabbondanza di regole è un classico italiano, un’ opportunità per i più furbi ma motivo di confusione per gli altri. Inoltre la complessità normativa è spesso soggetta a interpretazione. Ovviamente gli aspetti legati alla salute sono di primaria importanza, ma in un contesto straordinario e di emergenza sembra tutto concesso o quasi.
Non credo convenga molto economicamente, quindi non lo ritengo una soluzione. Ai costi tradizionali bisogna aggiungerne altri come le spese di trasporto e il packaging, oltre a quelle che diano attenzione per garantirne la sicurezza.