Che tristezza quei bimbi al mare con lo smartphone in mano…
Sono i born mobile, i nati mobili, i nativi digitali quelli che ad un anno sanno usare già il tablet.
Il mare è a pochi metri. La sabbia sotto i loro piedi. I genitori spettegolano rigorosamente accanto a loro su whatsapp, ma non parlano con i vicini. Non si usa più. Il distanziamento sociale, dovuto all’emergenza Covid-19, ha favorito maggiormente la fine del dialogo e delle interazioni nella vita reale.
Ma torniamo ai più piccoli. Non arrivano in spiaggia con una borsa piena di palette secchielli e formine. Non fanno più i castelli sulla sabbia. Non corrono tra un ombrellone e l’altro pieni di sabbia o bagnatissimi.
Assolutamente no. I piccoli bagnanti 5.0 sono concentrati sui loro giochi. Guardano il calcetto posizionato nel chiosco sulla riva come se fosse un mobile antico. Non amano ascoltare la musica se non i tormentoni. E quello che noi facevamo sembra far parte di ricordi in bianco e nero. I genitori li criticano ma forniscono gli strumenti ai più piccoli per stare in santa pace: abbronzarsi, chattare o ogni tanto fare qualche bagno…se c’è troppo caldo. I bambini? Stanno poco in acqua. Non possono staccarsi dallo smartphone. Un altro mondo…un’altra estate…
I genitori li dotano dell’ultima generazione di videogiochi e li vedete sotto l’ombrellone nella peggiore delle ipotesi con il cellulare di papà o mamma. Non bisogna trascurare il fatto che i bambini entrano in possesso di un dispositivo mobile a partire dai 5/6 anni, ma hanno già utilizzato in modo quasi continuativo i dispositivi dei propri genitori.
I bambini amano lo smartphone più di ogni altro passatempo. E’ questo uno dei dati più inquietanti della ricerca My First Mobile di Norton by Symantec, conclusasi nel 2018, che mette in evidenza in che misura i bambini utilizzano smartphone e tablet, l’atteggiamento dei genitori nei confronti di tale utilizzo e quali impatto hanno i dispositivi connessi su entrambe le categorie di utenti (adulti e minori).
Lo studio si basa su un sondaggio rivolto a 6.986 genitori con figli di età compresa tra i 5 e i 16 anni, residenti in 10 nazioni dell’area EMEA, Italia compresa. Si tratta, di fatto, della prima generazione di genitori di bambini che non hanno mai conosciuto un mondo senza smartphone e tablet e di uno studio che contribuisce ad alimentare il dibattito su quale sia l’età giusta a partire dalla quale i genitori possono consentire ai figli di utilizzare i moderni dispositivi connessi.
Un dato non meno preoccupante riguarda il tempo trascorso utilizzando lo smartphone e il tablet e quello passato giocando all’aria aperta: il primo, 2 ore e 35 minuti di media, batte il secondo, 1 ora e 58 minuti di media. I bambini italiani passano 2 ore e 24 minuti e (se può consolare) sono ultimi, insieme quelli polacchi e spagnoli, nella classifica guidata dai bambini britannici con quasi 3 ore al giorno passate in compagnia del dispositivo connesso. Anche nelle ore pomeridiane bambine e bambine si contendono il cellulare, la play station o l’xbox e discutono su quale gioco di ultima generazione mamma e papà hanno acquistato per loro.
Le aziende si stanno attrezzando per rendere sempre più tecnologizzata la vita dei bambini sotto i 10 anni, visto che hanno catturato i pre-adolescenti e gli adolescenti, e gli esperti che esprimono la preoccupazione che i bambini attraverso le nuove tecnologie possano isolarsi sempre di più. Ebbene oggi la realtà che emerge è profondamente diversa anche nel nostro Paese.
La causa di questo continuo uso della tecnologia, a volte con i rischi che può comportare, non lo si può attribuire soltanto ai bambini, ma anche ad alcuni genitori e al loro comportamento.
Nell’estate del 2018, in Germania, i bagnini tedeschi hanno denunciato un numero crescente di incidenti in piscina, dovuto alla distrazione dei genitori nei confronti di bambini abbandonati in acqua, mentre loro con lo smartphone inseguono l’ennesima star di Instagram. E i numeri non farebbero per niente ridere circa 300 bambini, soltanto nell’estate del 2018, sono morti annegati. Sull’argomento, come riporta The Guardian è intervenuta anche La GermanLifeguard Association (DLRG), la più grande organizzazione al mondo di bagnini volontari, ne offre 40.000 ogni anno a spiagge e laghi tedeschi, che ha stilato un rapporto su tutti i casi di annegamenti di bambini causati da genitori distratti con i loro cellulari e, come visto, il risultato che ne consegue è imbarazzante.
In Svezia, nel 2019 si è presentato un problema molto grave ossia: il rischio di smarrire il proprio figlio in spiaggia . In un’inchiesta giornalistica riportata dalla Svt News Skane, la causa principale dell’incremento di questo fenomeno sarebbe dovuta alle distrazioni dei genitori, determinate principalmente dall’uso di cellulari e smartphone. Nell’inchiesta viene riportata anche l’intervista al comandante esterno della South Rescue Service, l’agenzia governativa che si occupa di sicurezza, Kristoffer Stingson.
“Stiamo ricevendo sempre più allarmi per i bambini scomparsi sulle spiagge. Un fenomeno che è aumentato negli ultimi anni”, ha sottolineato il comandante Stingson, evidenziando come uno dei motivi che contribuiscono al problema è che i genitori sono intenti ad armeggiare con il cellulare, testa china sul display, senza prestare molta attenzione ai propri figli.”
“Una constatazione drammaticamente vera”, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” che evidenzia anche la globalità del fenomeno che non riguarda solo la Svezia, ma anche il nostro Paese nel quale le distrazioni e le conseguenze più gravi determinate dai cellulari sono all’ordine del giorno. Sarebbe utile, quindi, rilanciare la stessa campagna informativa e se non si può fare proprio a meno di portare lo smartphone con se anche in spiaggia, quantomeno lo si lasci qualche ora da parte per prestare più attenzione ai propri figli.
Il sociologo Bauman propone una riflessione sulla vita moderna, sempre più spesso divisa tra online e offline, evidenziando le implicazioni più critiche della rivoluzione digitale. “Non sempre – sostiene Bauman – la migrazione della nostra vita online si traduce in un effettivo potenziamento.”
L’era digitale ha portato la creazione di reti ma non di comunità. Per Bauman la comunità è qualcosa che ci osserva e ci lascia poco spazio di manovra ma, al contempo, rafforza l’individuo, la sua autostima e la fiducia in sé stessi. Dall’altra parte la rete ci mette in contatto più velocemente ma ci rende più deboli, aumentando il senso di solitudine portando insicurezza e, a lungo andare, infelicità. E a rendere così attraenti le reti è la loro perpetua transitorietà, la loro natura temporanea perché eternamente provvisoria, il loro astenersi dall’imporre impegni a lungo termine o una lealtà assoluta e una rigorosa disciplina. “Stiamo nel mondo online per sentirci meno soli”– aggiungeBauman e forse, dico forse, sarebbe il caso di tornare a vivere la vita reale, perché è lì che si trova ciò di cui abbiamo bisogno: gli affetti e i valori quelli veri.