La piazza è il fallimento della politica che fa finta di non sentire.
La linea di confine non è tra il pizzaiolo ed il poliziotto ma tra categorie che cercavano il dialogo ed una classe dirigente incapace di risposte.
Sfrega oggi, frega domani prima o poi l’incendio sarebbe scoppiato. La pressione, studiavamo a scuola, è una grandezza fisica e la sua compressione finisce a generare lo scoppio.
Così fu che dalle cucine alla strada migliaia di ristoratori hanno fatto il passo lungo. Forse più della gamba stessa.
Nelle piazze si urla, si alzano i toni e chiunque imbracci un megafono urla al mondo il suo disagio.
Per tante ragioni la piazza è una trappola. Una su tutte la perdita di ogni rappresentatività. La rivolta trascende la ragione e confonde ogni proposizione, cioè che arriva all’unisono più che una sinfonia è un distorto suono.
La piazza è una trappola perché ci si imbuca di tutto, si sa, scalmanati, negazionisti, terrapiattisti e pure quelli vestiti da puffi ( vedi lo scorso anno in Francia). Anche se probabilmente è più da temere un incompetente che governa piuttosto che un imbecille che si infiltra.
C’è la rabbia sotto ogni protesta, ed è innegabile che nelle immagini di quei lavoratori in lacrime stremati ad urlare davanti ai caschi blu della polizia c’è un paese che urla giustizia, operatori che invocano lavoro, settori che implorano ascolto.
È qui che il confine tra rabbia, giustizia, istanze, ragioni diventa poroso. E quel confine non è fatto dalla transenna che separa un pizzaiolo con la maglietta bianca ed un poliziotto con la giubba blu. Il confine sta nel fallimento di una politica che ha deciso di farsi ostaggio piuttosto che pregio di un Comitato che da una anno tira le date sul calendario giocando le sorti degli italiani.
Ma ognuno il suo mestiere. Il virus si sa cammina sulle nostre gambe e le possibilità di beccarselo aumentano via via che scendiamo le scale dalla porta di casa. Quindi si, puoi prendertelo ovunque al ristorante, al bar, sul treno, sull’aereo, al supermercato, giocando a briscola a casa, o andando in cortile a sfamare i gatti. Ovunque. È giusto che i medici lo dicano, è giusto che gli italiani recepiscano, ma è sacrosanto che la politica interpreti.
Per questo le regole andavano mediate e condivise, piuttosto che imposte e arrogate.
La mediazione è compito della politica e la mediazione è figlia dell’interlocuzione.
Ma sino ad oggi avete fatto finta di non sentire, e la piazza adesso alza la voce.