Proibizionismo: Non è così che si educa. Manca l’equilibrio
L’opinione del sociologo Marco Centorrino.
Nel dibattito sulla movida interviene volentieri, rispondendo ad alcune nostre domande, il professore Marco Centorrino, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Messina e autore di numerosi saggi e pubblicazioni.
Professore che ne pensa di questo nuova clima che qualcuno definisce “da proibizionismo” che si sta instaurando a Messina? Mi riferisco alle ordinanze sulla movida…
Ho seguito il dibattito attraverso la stampa e, sinceramente, ho trovato alcuni passaggi fin troppo ingenui. Ho visto usare spesso a sproposito l’espressione “necessità di educare” e, allo stesso tempo, mi ha colpito la sottovalutazione di un dato di fatto. Per almeno un decennio il fenomeno della movida messinese si è sviluppato a fronte di controlli sporadici e non sistematici. Ciò ha fatto consolidare prassi e abitudini che, adesso, vanno affrontate in modo più ampio e non certo “dando un segnale”…
L’episodio del malore della dodicenne o quello della rissa in pieno centro non sono gli unici a cui, nel tempo, si è assistito. Ricordo, ad esempio, che in passato si era manifestata un’emergenza bullismo, con bande di ragazzini che picchiavano i coetanei per incutere timore.
All’epoca, addirittura, venne anche chiesto l’intervento dell’Esercito nelle zone della movida: una provocazione, ma rispetto a quegli episodi quali misure strutturali sono state adottate nel tempo?
A suo avviso basterebbero più controlli per evitare eccessi o la vendita di alcol ai minori?
Il discorso è relativamente semplice. Qualsiasi azione di regolamentazione va accompagnata da un meccanismo di premio/sanzione. Più questo meccanismo offre certezze, maggiore sarà l’efficacia dell’azione stessa. Se trasgredisco e ho la sicurezza di essere sanzionato 10 volte su 10, avrò sicuramente un livello di attenzione massima al rispetto della norma. Altrimenti, la sanzione la considererò solo un possibile rischio. Ricordate, ad esempio, cosa accadde quando fu introdotta la norma sull’obbligatorietà del casco.
Certo, la sociologia ci insegna che in tale meccanismo vanno considerate, poi, ulteriori variabili, ma intanto è un punto di partenza inevitabile.
Conseguentemente, lo sviluppo del fenomeno deve essere strettamente correlato alla capacità di controllo che riesco a mettere in campo. Il problema non è se i locali possono stare aperti fino all’1 di notte o alle 2, oppure se possono consumare alcol dentro o fuori da un locale, bensì per quale arco di tempo nel corso della serata e della nottata le istituzioni sono in grado di garantire un presidio fisso dei luoghi della movida, a tutela degli operatori economici, dei ragazzi e degli abitanti delle zone interessate. È quello l’elemento di base per stabilire un regolamento.
Quanto hanno influito il lockdown, questa “prigionia” forzata, sulla voglia dei giovani di arrivare a questi eccessi?
Se l’eccesso è riferito al consumo di alcol specialmente tra i giovani, bisogna purtroppo dire che il lockdown c’entra poco. Le statistiche, ovviamente non solo a livello cittadino, già da anni sono allarmanti. A questo aggiungiamo che l’inizio dell’estate, con la chiusura dell’anno scolastico, amplifica la voglia di uscire, di tirare tardi la sera.
La nota dolente è rappresentata dalla necessità che i ragazzi manifestano di coniugare per forza l’esigenza di divertirsi con la cultura dello sballo.
Le ordinanze possono essere addirittura controproducenti?
La certezza della sanzione, di cui parlavo prima, è cosa diversa rispetto all’entità della sanzione stessa. Le ordinanze ci vogliono e, ribadisco, assumono un senso se vengono fatte rispettare in modo sistematico. La polarizzazione del discorso anche a livello politico, la trasformazione dei provvedimenti in una “crociata” e il mancato bilanciamento delle sanzioni, però, possono essere controproducenti. Questo perché un dato comportamento, seppur fuori legge, può assumere un valore simbolico che genera un aumento della trasgressione o dell’aggiramento della norma. E più la trasgressione o la devianza assume dimensioni di massa, maggiore è la difficoltà nel controllarla e limitarla.
È, essenzialmente, un meccanismo di equilibri anche se, ribadisco, non si può prescindere da una presenza delle istituzioni sul territorio.
Ora che siamo fuori dalle restrizioni, a suo avviso professore, ci dica sinceramente, la fase della pandemia a Messina, parlo di ordinanze, polemiche, annunci attraverso megafono, dirette Fb, è stata gestita al meglio? È servito questo pugno di ferro sulla gente? Ci ha salvato?
Forma e sostanza sono due dimensioni diverse. Non mi pare che Messina abbia fatto registrare, ad esempio, numeri così differenti rispetto a Palermo, dove la gestione dell’emergenza – in termini di forma – è stata differente. Queste, però, sono valutazioni di carattere personale. Ciò che colpisce, ancora una volta, è la mancanza di equilibrio. Siamo passati dalle auto con i megafoni al “liberi tutti” in un batter d’occhio; dalla multa al vecchietto che andava al supermercato a comprare la frutta allo scenario attuale, in cui le disposizioni sulle mascherine, ad esempio, sono troppe volte disattese, senza alcun intervento.
Quanto ci ha cambiato questa pandemia? Saremo tutti più anaffettivi? Abbracci, baci e strette di mano abolite per sempre? Continueremo ad andare avanti a colpi di gomito? E questo quanto inciderà sui rapporti umani?
Un po’ tutti stiamo rivedendo le nostre previsioni iniziali. Eravamo convinti che quanto accaduto avrebbe generato un cambiamento profondo negli individui e nella struttura sociale. Io, invece, noto una sorta di rimozione collettiva che sta prendendo piede e anche le strette di mano, in barba ai consigli ricevuti, stanno tornando a essere prassi.
Certo, le cicatrici sono comunque rimaste e bisognerà vedere come reagiremo nella malaugurata ipotesi di un nuovo innalzamento dei numeri dei contagi.