La nuova moda del foodporn
Ogni giorno fotografiamo quello che stiamo per mangiare per postarlo sui social o per inviarlo ai nostri amici. I miti che fanno immedesimare il consumatore. I social e il Web hanno aggiunto un ingrediente straordinario: la relazione diretta che si permea di una presunta autenticità e del bisogno di vivere un’esperienza emotiva.
Zygmunt Bauman nelle Conversazioni sull’educazione ci ha spiegato nel dettaglio come nella comunicazione occorrono pochi minuti per distruggere e molti anni per costruire. Secondo il sociologo polacco: “nella nostra società liquido-moderna di consumatori l’industria dello sfratto/sostituzione/smaltimento/evacuazione è una delle poche attività commerciali a cui sia garantita una continua crescita e che risulti immune dalle bizzarie dei mercati dei consumatori. Questa attività, dopotutto, è assolutamente indispensabile affinché i mercati siano in grado di procedere nell’unico modo in cui essi sono capaci di agire: passando da una serie all’altra di territori di caccia a mano a mano che il loro sfruttamento si è esaurito”.
Al ristorante si arriva, si ordina, e man mano che arrivano i piatti si fotografano e si condividono sui social. Nel frattempo tutto si fredda. E’ il nostro presente. Con buona pace di chi riceve le foto o ci segue sui social che gode nel vedere, pregusta e magari è un po’ invidioso/a.
Le aziende hanno compreso il VALORE della cultura e in particolare VINO E CIBO sono per antonomasia ESPERIENZA SENSORIALE nella quale il racconto emozionale viene enfatizzato attraverso un’immersione nei contesti paesaggistico artistici dove questi prodotti nascono.
Secondo Anderson, la sola teoria credibile dell’evoluzione della dieta umana è che i primi ominidi migliorarono sempre più nella loro qualità di onnivori. Migliorarono nel trovare carne, cercando carogne e cacciando, ma anche nel trovare radici, semi, germogli uova, e qualunque altra cosa commestibile (…) Il solo modo in cui un animale con un cervello grande ed esigente può sopravvivere è usando il cervello per pensare come utilizzare una vasta gamma di cibi buoni per ottenere il massimo con il minore sforzo.
Il cibo ha rappresentato il motore centrale della storia evolutiva dell’uomo, simboleggia convivialità e comunicazione, ha e ha avuto una precisa relazione con la dimensione di genere e di potere, ha una sua dimensione simbolica legata alle religioni e alla spiritualità e contribuisce in modo profondo alla costruzione identitaria dei popoli.
Pellegrino Artusi nel 1891 scriveva che: “la cucina è bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria. Diffidate dei libri che trattano di quest’arte: sono la maggior parte fallaci o incomprensibili, specialmente quelli italiani; meno peggio i francesi: al più al più, tanto dagli uni che dagli altri, potrete attingere
qualche nozione utile quando l’arte la conoscete. Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario, per riuscire di nascere con una cazzuola in capo”. Oggi l’universo informativo ci sembra in bilico tra informazione e marketing.
“Il mezzo televisivo, oltre ad essere volano di comunicazione per sua natura piuttosto invasivo, arriva ad incidere direttamente perfino sulle stesse modalità di consumo dei beni alimentari. Sembra risalire al 1953 la nozione di TV DINNER, con la proposta – da parte di Swansono & Sons, una media azienda di cibo congelato – di un piatto innovativo: un tacchino precotto, pronto per essere consumato davanti al televisore, in grado di ridurre al minimo le operazioni di di preparazione. La leggenda vuole che l’innovazione di prodotto sia nata dal bisogno di smaltire una fornitura di tacchini in eccesso rispetto alla domanda di mercato. Come spesso accade, da un problema contingente nasce un concept di prodotto di straordinario successo.” (La dimensione culturale del cibo, 2015)
Il ruolo della TV è stato importante nelle modalità di consumo dei beni alimentari. Italo Calvino nel libro Marcovaldo al Supermarket (1963) scrive:“insomma, se il tuo carrello è vuoto e gli altri pieni, si può reggere fino a un certo punto: poi ti prende un’invidia, un crepacuore,e non resisti più. Allora Marcovaldo, dopo aver raccomandato alla moglie e ai figlioli di non toccare niente, girò veloce a una traversa tra i banchi, si sottrasse alla vista della famiglia e, presa da un ripiano una scatola di datteri, la depose nel carrello. Voleva soltanto provare il piacere di portarla in giro per dieci minuti, sfoggiare anche lui i suoi acquisti come gli altri, e poi rimetterla dove l’aveva presa. Questa scatola, e anche una rossa bottiglia di salsa piccante, e un sacchetto di caffè, e un azzurro pacco di spaghetti. Marcovaldo era sicuro che, facendo con delicatezza, poteva per almeno un quarto d’ora gustare la gioia di chi sa scegliere il prodotto, senza dover pagare neanche un soldo. Ma guai se i bambini lo vedevano! Subito si sarebbero messi a imitarlo e chissà che confusione ne sarebbe nata!”.
Come cambia le dimensione del cibo da elemento antropologico culturale a prodotto di consumo. Proviamo a vederlo. Con la televisione si instaura un rapporto bidimensionale nel racconto del cibo. Da una parte la pubblicità che promuove il prodotto con un’evoluzione che ingloba le grandi trasformazioni della società occidentale: globalizzazione, edonismo, fast, ecc…Dall’altra il cibo e il vino diventano oggetto di indagine sociale e culturale dove si intersecano diversi temi: riscoperta della tradizione, valorizzazione di un comparto economicamente rilevante per l’economia nazionale, aspetti salutistici e di ricerca del benessere, scoperta di nuove abitudini alimentari.
E’ sempre più difficile mestiere di fare informazione raccontando imprese, luoghi, protagonisti della cucina. Cucina, agricoltura, turismo non sono più semplice appannaggio della stampa specializzata. La curiosità del grande pubblico e il gradimento di questi argomenti sposta l’asta sempre più verso l’infotainment .
Non esiste fascia oraria, format televisivo che non abbia uno spazio dedicato al cibo.
Chef, ricette, materie prime, e dizionario di cucina sono l’ingrediente per eccellenza della TV. Da Gordon Ramsay con HellKitchen a Junior Masterchef, «piccoli chef crescono»,
passando per la Clerici e la Parodi. Nasce una nuova genetica: il primo senso non è il gusto ma la vista.
Dalla tv ai social che cosa ha scatenato la corsa alla narrazione del cibo e del vino sul web? La comunicazione alimentare ha sempre tentato di promuovere miti che inducessero forme di immedesimazione da parte del consumatore.
I social e il Web hanno aggiunto un ingrediente straordinario: la relazione diretta che si permea di una presunta autenticità e del bisogno di vivere un’esperienza emotiva.
Così aziende, chef, blogger si contendono e creano pubblici che si intersecano si contaminano uniti nell’adorazione di un nuovo mito “IL FOOD PORN”.
Non importa che sia vegano, o lussuriosamente carnivoro ciò che è fondamentale è che susciti EMOZIONE, che invogli al bere e al mangiare.
Da tempo è nata una nuova categoria sociologica: GLI INFLUENCER
Chi sono?
Sono blogger, chef, appassionati di cibo e vino, esperti che hanno costruito un proprio pubblico di fedelissimi, che li segue li esalta che li ha resi credibili un like dopo l’altro fino a orientare le scelte di acquisto e di consumo. Ognuno a proprio modo da vita un LIFESTYLE, che diventa allettante per le aziende che sempre di più spostano i propri investimenti con l’intento accaparrarsi i TOP INFLUENCER nella moda, nella gastronomia per promuovere le vendite e fidelizzare il cliente. Sono nati nuovi linguaggi e nuove parole: Fast food e Junky food contrapposti a Slow food e Street food; dalla NOUVELLE CUISINE alla DIETA MEDITERRANEA, da Luxury food Cibo Km0. In tutto questo globalizzazione, desertificazione, crisi economica, sostenibilità, biologico, biodinamico, NOOGM sono alla base della sfida per un’informazione che crei cultura che diventi sostenibile.
Se cibo è cultura la galassia di parole che riempiono la pentola della comunicazione sul cibo e il vino devono cambiare. Questo significa FARE CULTURA e quindi recuperare il cibo come fulcro della relazionalità e convivialità, strumento di aggregazione REALE, proteggere l’ambiente e la varietà territoriale, la comunicazione come momento di trasferimento di conoscenza e del saper fare, ristabilire la connessione tra territorio e qualità del prodotto che da esso nasce, il cibo come valore antropologico e fondamento dell’evoluzione della società, ricostruire la memoria e la tradizione del cibo.