Videogames, se sei “brutto” giochi di piu’.
Secondo alcune statistiche le persone più belle esteticamente giocano meno rispetto alle persone meno belle e questo accade sia tra gli adolescenti che tra gli adulti. Al di là dei discutibili stereotipi di bellezza i videogiochi esasperano individualismo e solitudine verso i quali è necessario un approccio formativo diverso.
La nostra società è sempre più tecnologizzata, i bambini e adolescenti utilizzano nuovi strumenti e modi diversi di giocare in una logica di adattamento ed evoluzione.
La rivoluzione tecnologica ha mosso passi da gigante e si è diffusa nel quotidiano delle famiglie. Computer, telefoni cellulari multifunzione, consolle per videogiochi sempre più potenti, le connessioni internet veloci e la tecnologia Bluetooth ci costringono alla velocità di risposta, alla reperibilità continua, al consumo “forzato” di tecnologia.
Se si pensa ai primi videogiochi, al mitico Pongche Marco Gasperetti definì “proto-videogioco” , ci rendiamo facilmente conto dell’incredibile sviluppo tecnologico che ne è seguito. Tanto che oggi la categoria videogiochi è presente su molteplici supporti, dalle consolle, ai pc, agli smartphone.
È evidente che il “rischio dipendenza” aumenta, di fronte a un’offerta commerciale sempre più ampia.
Proprio sull’utilizzo dei videogiochi è stata condotta una ricerca negli USA che ha messo in relazione l’aspetto esteriore e il tempo che le persone dedicano ai videogiochi.
Il giornalista Luca Tremolada ha scritto un articolo, pubblicato su Il Sole 24 Ore, in cui riporta i dati di questo studio.
La ricerca scientifica è stata pubblicata sul sito del National Bureau of Economic Research (Nber) e ha confermato uno stereotipo abbastanza conosciuto ovvero “se sei bruttino, poco attraente, poco popolare e fisicamente neppure in gran forma allora è probabile che giochi ai videogame”. Quindi, siamo di fronte allo stereotipo che cerca conferme e questo deve indurci a riflettere e a discutere.
A quanto pare, negli Stati Uniti le persone più belle esteticamente giocano meno rispetto alle persone meno belle e questo accade sia tra gli adolescenti che tra gli adulti.
Cosi come riporta anche il portale d’informazione multiplayer.it, la ricerca “studia la relazione tra la bellezza fisica e il tempo che le persone dedicano ai videogiochi/computer. Gli adolescenti americani trascorrono in media il 2,6% delle loro ore di veglia giocando, mentre per gli adulti la percentuale è del 2,7%”. Gli studiosi hanno affermato che “utilizzando l’American Add Health Study, hanno dimostrato che gli adulti più belli hanno più amici intimi. Probabilmente per loro giocare è più dispendioso, rispetto al tempo che hanno a disposizione, e quindi lo praticano meno”.
E ancora: “Gli adolescenti fisicamente attraenti hanno meno probabilità di giocare, mentre gli adolescenti non attraenti che giocano dedicano più tempo alla settimana rispetto agli altri giocatori. Anche gli adulti attraenti hanno meno probabilità degli altri di passare del tempo a giocare; e se lo fanno, spendono meno tempo degli adulti meno attraenti.
Utilizzando la natura longitudinale dell’Add Health Study, abbiamo trovato prove a sostegno del fatto che queste relazioni sono causali per gli adulti: il bell’aspetto diminuisce il tempo dedicato al gioco, e non viceversa”.
Certamente, questa analisi deve farci pensare e in futuro serviranno altre ricerche a conferma di quanto è emerso negli Stati Uniti.
Le mie ricerche hanno sempre evidenziato come il videogioco sia diventato il nuovo “baby-sitter” del bambino e non un momento di aggregazione, di gioco condiviso del genitore con i figli.
Un controllo non sempre attento dei contenuti e dei tempi di utilizzo rischia di generare comportamenti e situazioni di forte pericolo.
Un altro punto dolente riguarda la solitudine. Molti i giovani che giocano da soli nella loro cameretta. I videogiochi rappresentano una dimensione di gioco individuale che, soprattutto negli ultimi anni, si sta spostando online, in presenza di connessioni tra giocatori attraverso le piattaforme in rete.
È chiaro che il gioco come strategia di sperimentazione e percorso di apprendimento può realizzarsi solo se vi è condivisione, se è guidato dagli adulti, ma non se le nuove forme di “gioco” sono l’espressione di solitudine e individualismo.
Proprio l’individualismo apre ad un’altra riflessione che riguarda la bellezza. In una società sempre più liquida anche il concetto di bellezza è cambiato. La continua vetrinizzazione delle nostre vite e dei nostri corpi ridefinisce i contorni del bello e dei canoni di bellezza.
Ognuno di noi vuole piacere agli altri e vuole essere apprezzato dagli altri sui social network. Il corpo viene esibito e diventa un prodotto di consumo e si adegua agli standard di consumo della nostra società.
A livello umano si è trasformata la percezione dell’essere e conta in modo particolare l’apparire. L’intelligenza artificiale e i numerosi algoritmi ci permettono di modificare il nostro aspetto, attraverso applicazioni e filtri. La percentuale di “ritocchini” estetici tra gli adolescenti è molto alta. La motivazione per la quale si sottopongono ai “ritocchini” è molto semplice: assomigliare ai loro influncer o idoli preferiti.
Il tempo ci dirà se la bellezza influisce anche sull’utilizzo dei videogiochi e per dirlo servono altri report. Quello che è certo è che gli adulti devono aiutare i giovani a capire quanto sia importante il rispetto del proprio corpo. Bisogna riscoprire l’idea di bellezza ed educare i giovani a non diventare consumatori e prodotti di consumo.
Le nuove tecnologie, cosi come i videogiochi, continueranno a far parte delle nostre vite e servono percorsi formativi seri e strutturali. Tutti i media avranno un ruolo, ma è necessario riprogettare la formazione perché includa educazione ai media e con i media. In un contesto così rinnovato non si tratta dunque più di esaminare i singoli media, o solo il concetto di bellezza, ma è opportuno dar vita ad un progetto formativo complesso.