8 Marzo: prima i diritti, poi le mimose
La retorica fa male, non fa pensare a violenze ed ipocrisie perpetrate nei confronti delle donne.
Una ricorrenza, come sappiamo, può essere solo l’occasione per dare sfoggio di gesti retorici e, peggio ancora, di pronunciare parole prive di senso e di significato. Una ritualità a cui, nessuno, sa o vuole sottrarsi. Non accada che di tutti si parli, tranne che di noi, del nostro gruppo/movimento, del nostro Comune, della nostra Diocesi, della nostra parrocchia. Dalle autorità, o pseudo tali, come ministri-politici-cardinali-intrattenitori vari non mancano richiami e dichiarazioni di impegno. E poi promesse, iniziative a sostegno, annunci di finanziamenti, proposte per cambiare il vocabolario, invito a denunciare. Il tutto condito da un po’ di sentimento, qualche bella canzonetta, un po’ di mimose o qualche rosa, magari una cena da asporto. Che male c’è, in fondo non fa male a nessuno.
E’ vero non fa male, in effetti fa ben più, uccide. Cioè elimina, peggio non fa pensare: alla realtà e ai drammi, alla violenza e all’ipocrisia, alle ingiustizie ripetute, perpetrate, reiterate nei confronti delle donne.
Dalla famiglia alla scuola, dalla Chiesa alla società civile, dal mondo del lavoro ai social: nessuno può affermare di aver fatto il proprio dovere. Con tutti i distinguo e distinzioni di ruoli e responsabilità da tenere presenti, il sangue versato è troppo e rivendica la giustizia al cospetto di Dio e degli uomini.
Si dirà che è colpa della mentalità e delle strutture che, guarda caso, non avendo come responsabili gli angeli o le anime separate, ma degli uomini in carne e ossa, rispondono a precise omissioni e responsabilità, di cui difficilmente si si vuole rendere conto.
Ed è perfettamente inutile e una fatica a cui volentieri mi sottraggo, elencare principi costituzionali, leggi, decreti, brani della Sacra Scrittura, encicliche, esortazioni, citazioni dotte e sapienti riprese dai social. Il problema, come sappiamo è sì, culturale e politico, ma anche sociale ed ecclesiale. Non solo le donne, sono stanche e nauseate di fronte alla mancanza di coraggio di chi, dovrebbe in forza della legge umana e divina, rendere giustizia alla “metà del Cielo”.
A chi restituisce la vita e la dignità sapere che esiste, magari una legge, ma poi si è costretti a scegliere tra l’essere donna o madre, e mantenere il posto di lavoro? A chi rende giustizia sapere che, Dio ha creato l’uomo e la donna uguali, senza distinzioni e poi non essere nella condizione di vivere all’interno della Chiesa, non il potere, ma la libertà e il proprio Battesimo, stracciando di fatto in questo modo, alcune pagine della Bibbia?
Se qualcuno dimostra che alcuni articoli della Costituzione Italiana “la più bella del mondo” non esistono, che alcuni personaggi, versetti e ruoli della Bibbia sono stati inventati, possiamo pure continuare a festeggiare non solo l’8 marzo, ma anche il Primo maggio, il Ferragosto, la Befana e rispettare anche i ponti, i week-end le ferie e le pause pranzo. Se invece esistono la Costituzione e la Bibbia, così come li conosciamo, allora, rimane poco da festeggiare.
Affermare la dignità della donna, non toglie nulla al resto del creato e della società, della politica e dell’economia, della cultura e della Chiesa. A meno che, non dispiaccia a qualcuno a rinunciare a quello che non è suo, non per il genere a cui appartiene, ma per le sue capacità.
Alla donna è chiesto di essere e vivere da protagonista, in ogni ruolo e ambito della società civile, politica e in tutte le confessioni religiose. E tutto ciò, non deve essere una gentile concessione da parte di nessuno, ma gli appartiene per natura, diritto e fede, soprattutto nella Chiesa, se facciamo riferimento al Vangelo.